LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Quattro giorni, due partite, centottanta minuti. La stagione della Roma rischia di dipendere in modo stringente da quello che le capiterà tra mercoledì e sabato all’Olimpico: il Frosinone prima, poi il derby con la Lazio. Gli ultimi due test a disposizione di Eusebio Di Francesco per convincere il "disgustato" presidente Pallotta di essere ancora l’allenatore giusto per la Roma. Se ne dicono certi i dirigenti che con lui dividono gli spazi di Trigoria: che è bravo - la sintesi del pensiero manageriale - lo ha dimostrato lo scorso anno, quindi i colpevoli sono altri. Nell’analisi societaria, la responsabilità è dei calciatori. Anche se tutti sanno che non si potrà insistere in eterno su questo orientamento. Perché Monchi, il direttore sportivo arrivato da Siviglia per applicare nella capitale il modello con cui ha vinto 5 Europa League, è certo di aver costruito una squadra migliore di quella dello scorso anno. E tra le mura di casa nessuno sostiene il contrario, anzi. Ora è proprio lui il primo a difendere l’allenatore, al punto da minacciare di legare il proprio destino al suo: via uno, via l’altro. Anche perché un nome pronto a raccogliere in corsa l’eredità del tecnico non c’è. Una situazione che ricorda quella che aveva preceduto la separazione da Rudi Garcia, sia per le frasi del presidente sia per la difesa del ds (oggi Monchi, ieri Sabatini). Ma nella tentacolare struttura dirigenziale, che ha braccia anche a Londra, i primi sondaggi per non farsi trovare impreparati in caso di necessità sono iniziati. La rosa dei papabili è potenzialmente ricchissima: Paulo Sousa ha avuto pure un colloquio con il consulente Franco Baldini, anche se la panchina della Roma non è stata tra gli argomenti trattati. Ma è segno del buon rapporto tra i due. Laurent Blanc fu una tentazione già nel 2013, quando saltò Zeman. Poi c’è la corrente italiana, gettonatissima, per affrontare la crisi, con nomi come Prandelli o Montella. Conte resta una suggestione più per i tifosi che per il club. In caso di esonero, il prossimo sarebbe il 7° tecnico in 8 stagioni americane: di più ne ha cambiati solo l’Inter.
Da qui a sabato, a meno di rovesci in stile Bologna pure col Frosinone, la linea resterà però quella odierna per cui sono i giocatori a non impegnarsi. Il ritiro punitivo è stato una scelta voluta dall’allenatore: non tutti inizialmente erano d’accordo però, se ne è discusso con telefonate tra il pullman che riportava la squadra a Roma e il treno su cui viaggiava parte della dirigenza. Ha spinto, Di Francesco, dopo una animata discussione tra due leader della squadra - uno grandicello, uno meno - nello spogliatoio del Dall’Ara. I due avevano dato avvisaglie in campo, ma sono recidivi: se ne erano dette parecchie anche nella scorsa stagione, quando i risultati mitigarono il clima. In quello di oggi, invece, persino l’evento per presentare il libro di Totti al Colosseo, giovedì, diventa uno stridente fastidio.
Trigoria ha scelto l’interventismo. Una riunione tra allenatore, dirigenti e calciatori è servita per ripetere guardandosi negli occhi che è nelle difficoltà che si vedono gli uomini e che ora le scelte tecniche non guarderanno il curriculum ma solo l’impegno. Che, è opinione diffusa, sta mancando durante la settimana e vistosamente in partita. Ai calciatori bisogna invece far digerire le rotazioni continue - 21 uomini diversi impiegati dall’inizio - i moduli alternati freneticamente, gli uomini utilizzati fuori ruolo, le scelte azzardate e rimangiate. Domani col Frosinone è già tempo di dimostrare che i messaggi, in una direzione e nell’altra, sono arrivati.