LEGGO (R. BUFFONI) - Prendersela con Di Francesco non aiuta a capire fino in fondo i problemi della Roma. Il tecnico si è già preso la responsabilità dello scempio visto nel primo tempo di San Siro («Modulo 3-4-1-2 sbagliato, colpa mia»), ma forse è proprio questo uno dei motivi perché non piace a parte della tifoseria e della critica. Di Francesco non è un “santone” ma “l’allenatore della porta accanto”. Nelle dichiarazioni e nelle scelte non fa mai il fenomeno, si fa capire facilmente sia a parole sia con i fatti. Attorno a lui non c’è alcun alone di mistero: Di Francesco è questo, prendere o lasciare. Un conto però è l’allarme sacrosanto suonato dopo Roma-Atalanta e dopo Milan-Roma; un conto è il catastrofismo di chi tira già le somme della stagione. Se l’anno scorso Samp-Roma non fosse stata rimandata per allerta meteo e se, giocando, fosse finita come nel recupero di gennaio (1-1), la Roma dopo tre gare avrebbe avuto 4 punti: gli stessi di oggi. C’è tutto il tempo per rimediare, quindi, anche perché a Di Francesco la società non ha chiesto lo scudetto. Del resto Monchi cedendo Alisson, Nainggolan e Strootman e acquistando tanti talenti “under 21” ha fatto capire come il club percorra sentieri di crescita diversi dalle autostrade che portano dritte al titolo. Fra tanti talenti presi, poi, non c’è l’esterno alto di destra di piede mancino chiesto da Di Francesco. Malcom è sfumato come sappiamo, soffiato in extremis dal Barcellona, ma non è arrivato nemmeno Berardi voluto a gran voce dal tecnico. Non può essere un accusa per Di Francesco quella di tentare di fare il bene della Roma, cercando la quadra tattica che faccia esplodere Schick e Pastore: pezzi pregiati difficilissimi da posizionare sulla scacchiera giallorossa. Confermare il terzo posto, raggiungere almeno le semifinali di coppa Italia e, visto il girone (Real, Cska e Viktoria Plzen), toccare ancora una volta gli ottavi di Champions: questo è un traguardo a portata di questa Roma, che Di Francesco può ancora raggiungere agevolmente.