IL ROMANISTA (D. LO MONACO) - Proprio come se n'era uscito un mesetto fa, con un'altra uscita involontariamente comica («Se la Roma è arrivata in semifinale di Champions lo deve solo alla fortuna che ha avuto nei sorteggi», dimenticando la circostanza che dall'urna svizzera sono uscite Chelsea,Atletico Madrid, Shakhtar Donetsk, tanto scarso da aver eliminato il suo Napoli, e poi Barcellona e Liverpool), così giovedì mattina Aurelio De Laurentiis ha evocato uno strano groviglio di proprietà tra Roma e Liverpool (senza specificare quale dei due proprietari sia finto) in una serie di frasi affastellate di poco senso [...]. Come Lotito, lui è abituato a far così, a cercare di trasformare la sua arroganza in un motivo di vanto. E finché troverà interlocutori signorili che lo stanno addirittura ad ascoltare, si comporterà alla stessa maniera.
Anche quando chiamò il dg Baldissoni per chiedergli Alisson in cambio di 60 milioni trovò accoglienza, ma la telefonata durò poco: «No grazie, non te lo diamo». Raccontano che si sia risentito poi del fatto che la Roma lo abbia venduto, peraltro ad una cifra superiore, al Liverpool [...] Ma tutto ciò che fa la Roma in lui suscita desiderio di emulazione, dal marketing al sociale. E forse non ha mai dimenticato che l'anno scorso Sarri si era promesso proprio alla Roma (che poi dirottò su Di Francesco) [...]. Ora ci mancava questo riferimento a John W. Henry, proprietario bostoniano del Liverpool e buon amico (ma neanche tanto) di Pallotta. Pensare che però siano la stessa persona è come dire che lo siano Lotito e De Laurentiis. E invece sono solo affini. Ugualmente volgari. Ugualmente complessati.