L'ESPRESSO (G. TURANO) - II palazzinaro è trasversale per mestiere. Luca Parnasi aveva buoni rapporti con tutto lo spettro della politica, dal Pd a Forza Italia alla nuova giunta grillina che gli avrebbe dovuto far costruire il nuovo stadio dell'As Roma, dopo innumerevoli varianti. Se si parla di cuore, però, quello di Parnasi stava a destra quanto quello del suo amico Alessandro Daffina, numero uno di Rothschild Italia, advisor di Parnasi e di James Pallotta, a sua volta ultrà di Donald Trump. In mancanza di un equivalente di The Donald, oggi in Italia c'è la Lega del milanista Matteo Salvini, finanziata da Parnasi senza interferenze di passione calcistica.
Parnasi è un romanista a oltranza, oltre che proprietario della holding Eurnova, ereditata dal padre Sandro che aveva incominciato come manovale e, semmai, simpatizzava con i partiti dei lavoratori. È talmente romanista, Luca Parnasi, da supplicare gli ex mister giallorossi Zdenek Zeman e Rudi Garcia di giocare almeno un minuto di un match di serie A accanto al suo idolo, Francesco Totti. Non per scherzo: un minuto solo, alla fine di una partita di fine campionato. Parnasi si è dovuto rassegnare ai tornei di calciotto fra i circoli sul Tevere. Nello stesso modo, si è dovuto rassegnare ad avere buoni rapporti con tutti, salvo uno. È Francesco Gaetano Caltagirone, cementiere, editore, finanziere, immobiliarista, imprenditore edile che avrebbe voluto costruire lo stadio al posto di un'Eurnova carica di debiti passati pari pari dalla Capitalia di Cesare Geronzi all'incorporante Unicredit.
II disgelo non è mai riuscito e non per mancanza di tentativi. In fondo, sia Parnasi sia Caltagirone sono soci del circolo Canottieri Aniene insieme al presidente del Coni Giovanni Malagò, al numero uno del Comitato Roma 2024 Luca di Montezemolo e al direttore generale della Roma Mauro Baldissoni, compagno di stanza allo studio Tonucci di Pieremilio Sammarco, il mentore di Virginia Raggi. Ma Caltagirone frequenta poco. Delle reti relazionali dell'Aniene non ha bisogno e, se pensa di avere subito un torto, non basta chiedergli scusa. II Messaggero, principale quotidiano romano (Caltagirone editore), da anni spara ad alzo zero sullo stadio della Roma e non perché sia più sensibile della media a eventuali, del tutto ipotetici, input della proprietà quanto perché, obiettivamente, il progetto dello stadio giallorosso è un pasticcio atroce. In modo più eufemistico: «È un processo di una complessità incredibile ma ci sono le premesse per fare qualcosa di buono per la città», come aveva dichiarato lo stesso Parnasi.
II progetto originale approvato dal sindaco Ignazio Marino e dal suo assessore Giovanni Caudo, impegnato al ballottaggio come minisindaco della circoscrizione Roma Ill, è stato gradualmente stravolto. II primo assessore all'urbanistica della giunta Raggi, Paolo Berdini, ci si è giocato una buona quota di impopolarità nel breve intervallo dalla nomina alle dimissioni. Anche dopo la corsa al risparmio che ha ridotto di pari passo le cubature e le opere pubbliche di collegamento, i capitali non sono venuti fuori. Solo l'impresa Pizzarotti ha fatto sapere di essere interessata a una frazione dell'investimento. Quando L'Espresso ha scritto che gli investitori latitavano, già nel 2016, Parnasi aveva protestato informalmente, con cortesia. Aveva promesso di spiegare tutto, che i cantieri sarebbero partiti e che Pallotta sarebbe rimasto perché si era innamorato della Roma. Un amore interessato. Lo stadio nuovo sarebbe finito sotto il personale controllo del finanziere di Boston e non sotto l'ombrello del club, uno dei tre italiani quotati in Borsa.
II presidente giallorosso Pallotta non ha preso bene la notizia dell'arresto di Parnasi. La notizia gli è arrivata mentre era in Italia. Una vacanza con qualche impegno di lavoro, una gita a Bologna, un pranzo con Franco Baldini, suo consulente, e con Claudio Fenucci, ex manager giallorosso passato ai rossoblù della famiglia italo-canadese Caputo. Lo hedge-funder statunitense non si mostra preoccupato all'idea che il nuovo stadio possa ricevere uno stop a tempo indeterminato dall'inchiesta. L'aggiunto Paolo lelo ha dichiarato che il club non c'entra. Ma Pallotta ha anche detto che potrebbe vendere in caso di ritardi. Molti negoziati, e non di calciomercato, potrebbero saltare. Dopo l'accordo sulla sponsorizzazione della maglia, con gli emiri del Qatar erano in discussione i naming rights, i redditizi diritti di battezzare un impianto.
Per ora l'unica certezza è che l'intervento della Procura è stato un fulmine a ciel sereno. Martedì 12 giugno, poche ore prima del blitz della Procura di Roma, il sindaco Raggi aveva twittato: «Lo stadio a Tor di Valle è sempre più vicino». E su Facebook: «Vogliamo che il sogno dello stadio Tor di Valle diventi presto realtà». Considerando che di stadio nuovo si parla dall'arrivo della cordata americana (2011), l'avverbio presto andrebbe usato con prudenza