IL TEMPO (S. NOVELLI) - È la prima volta che uno scranno istituzionale viene «opzionato» ad personam, mail «vento nuovo» dei grillini è destinato a portare regole del tutto inedite, a volte farsesche, a cominciare dal Campidoglio. La consigliera comunale Cristina Grancio, neo espulsa dal MoVimento perché contraria alla «linea» (rigorosamente dettata dall’alto), un po’ per provocazione, un po’ per ovvi motivi di spazio, ha deciso ieri di prendere posto in Aula Giulio Cesare nell’ex scranno occupato dall’attuale sindaco Virginia Raggi quando era all’opposizione con Ignazio Marino. «Da dove vi parlo e da dove vi continuerò a parlare, che sarà il posto che era occupato dall’attuale sindaco quando era all’opposizione - ha detto ieri la Grancio formalizzando l’adesione al Gruppo Misto - continuerò a fare il mio dovere di consigliere, con una sola variante rispetto a prima: uno non varrà più uno, perché questo è stato solo un grande inganno». Una lesa maestà per i fedelissimi della Raggi. Sfiorando il ridicolo è addirittura il capogruppo grillino di Roma Capitale, Paolo Ferrara a sollevare gli scudi: «Decide la capigruppo a maggioranza per la collocazione di Grancio. Per me lo scranno della sindaca è come la maglia n.10 di Totti, non si può dare a nessuno». Un assist perfetto per il consigliere capitolino del Pd, Marco Palumbo: «Sullo scranno in Aula della consigliera Grancio Paolo Ferrara confonde sacro e profano. Comparare la sindaca alla maglia del Capitano è un esercizio arduo, non solo per la lazialità della Raggi ma soprattutto per i successi di Totti rispetto al nulla di Raggi». Non perde l’occasione per difendere sua «maestà» Raggi neanche il consigliere M5S, Pietro Calabrese - lo stesso che ha lanciato su Facebook il piano per rendere a senso unico l’asse princiapale del pieno centro di Roma, via del Corso - che tenta invano di "alzare" il livello del discorso: «Lo scranno della sindaca non si tocca, è il solito futile pretesto per proseguire nella personalizzazione senza condivisione delle scelte sui temi, e parla pure di democrazia». Una discussione surreale per gli eletti della Capitale d’Italia, che, oltretutto, non gode proprio di ottima saluta, a partire dalla drammatica situazione finanziaria dell’azienda del trasporto pubblico capitolino che rischia di vedersi revocata la licenza per non essere in grado di garantire 12 milioni di fideiussione al Ministero dei Trasporti. Per non parlare poi di Roma Metropolitane con i lavoratori in sciopero e dell’apertura del nodo strategico della nuova stazione San Giovanni della metro C, sulla quale il sindaco Raggi ha ammesso candidamente di «non sapere» la data, premurandosi tuttavia di renderla nota non appena venga resa nota anche a lei. E ancora, rifiuti, buche,immigrati e campi nomadi. Accapigliarsi sull’«inviolabilità» assurda dello scranno che fu dell’allora consigliera Raggi non solo non è democratico ma è davvero un disarmante schiaffo al passato, al presente e al futuro della città eterna. Eterna a prescindere da Raggi&Co.