IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) - Schick non è una pippa. Meglio chiarirlo subito, anche se tutto sembra far ritenere il contrario. Tipo, zero gol in campionato e prestazioni costantemente balbettanti. Patrik non è un bluff perché tutti, anche i critici più in malafede, si sono accorti che lui a pallone ci sa fare. Fosse vero il contrario, neppure riuscirebbe – al di là di tutto – a mostrare lampi di classe cristallina. Anche un cieco si accorgerebbe che il ceco dà del tu al pallone e ha mezzi fisici importanti. E allora? Allora, la sensazione è che Schick non giochi ancora con (nella) Roma. Che, in parole povere, il suo problema reale sia l’incapacità di stare (in campo, ovviamente) con i compagni. La Roma gioca (bene e/o male) un certo tipo di calcio, Patrik va per conto suo. La dà quando deve tenerla e la tiene quando la deve dare; si allarga quando dovrebbe stringere e stringe quando dovrebbe allargarsi; va in profondità quando dovrebbe venire incontro e viene incontro quando dovrebbe andare in profondità.
Chiaro? Un mondo a parte, il suo. Non perché lui non voglia giocare nella (con) la Roma, ma perché ancora non ci riesce. Colpa sua, certo. Ma forse non solo colpa sua. Schick è uno che avrebbe avuto (e avrebbe tuttora) necessità di giocare il più possibile, invece è rimasto fuori per tanto, troppo tempo. E martedì, con il rientro di Dzeko, si accomoderà di nuovo in panchina. Entrare e uscire, uscire ed entrare: così, per un giovane alla prima esperienza ad alto livello (lo scorso anno alla Samp, vale la pena ricordarlo, non era neppure titolare), non è facile inserirsi in una squadra ambiziosa. Servono tempo e occasioni. In certi casi, conta nulla il prezzo pagato per il suo cartellino. Quello è solo il facile pretesto per non andare con la mente oltre la faciloneria