IL TEMPO (E. MENGHI) - Terapia d’urto per la Roma. La crisi è in stadio avanzato ed è finito il tempo delle mezze misure, visto che a nulla è servita la ramanzina di Monchi: la reazione di nervi che si aspettavano a Trigoria non c’è stata, contro l’Atalanta chi voleva vedere cattiveria e determinazione è rimasto deluso. Appena 14 i contrasti fatti dai giallorossi, 20 quelli degli avversari, e solo un ammonito, Fazio al 93’, per proteste. «Ci vuole uno psicologo forte “a ‘sto giro“», aveva sentenziato Di Francesco in seguito all’uscita prematura dalla Coppa Italia, due sconfitte e un pareggio dopo serve molto di più di un bravo analista. Anche perché i «vecchi» ai piani alti del club sanno perfettamente cosa sta succedendo: nessun problema tattico né fisico, la Roma ha una paralisi mentale che viene da lontano, dall’incapacità di sfruttare i momenti positivi (il famoso «vincere aiuta a vincere» qui sembra non funzionare) e dalla pressione che deriva da una città in cui lo scudetto manca da 17 anni. Negli ultimi 14 sono cambiati altrettanti allenatori, eppure il risultato è stato lo stesso, e l’ultima volta in cui la squadra non ha vinto 4 partite di fila è stato 2 anni fa esatti, quando Garcia salutava e arrivava Spalletti. Stavolta l’unico a sentirsi tranquillo della sua posizione è proprio il tecnico: Di Francesco non è in discussione, la Roma crede in lui. Piuttosto sotto accusa ci sono i giocatori stessi, colpevoli di carenza di personalità. Non esistono più incedibili, il discorso di Monchi(«chi non dimostra mentalità vincente non può stare qui») è attuale più che mai dopo l’ennesima delusione che capita a mercato aperto. A Trigoria hanno capito che servirà una nuova rivoluzione, difficile a gennaio, periodo in cui comincerà la rifondazione che sarà poi completata in estate. Ieri il diesse era con Baldissoni a Milano per assistere alla partita di Supercoppa Primavera, ma presto potrebbero volare insieme da Pallotta, atteso a Londra in settimana (agenda da definire nelle prossime ore) per via dell’impegno dei Boston Celtics giovedì nella capitale inglese contro i Philadelphia 76ers. E’ lì che la Roma studia le strategie con la consulenza di Baldini. I contatti con il presidente sono costanti e tutti concordano nella necessità di intervenire, con la consapevolezza di una cassa «povera» che potrà essere arricchita da qualche cessione, come quella di Bruno Peres su cui c’è il Benfica. La Roma in assenza di grosse somme deve fare quadrato e capire come muoversi per migliorare una situazione da cui è obbligata a tirarsi fuori per perseguire l’obiettivo minimo della qualificazione alla prossima Champions League. Se dovessero arrivare offerte per i «senatori», saranno ascoltate e valutate con attenzione, soprattutto se riguarderanno quelli che sembrano essere arrivati alla fine di un ciclo, come Strootman, che tra l’altro ha inserito una clausola per liberarsi nel contratto, ma anche Dzeko e quel Nainggolan che tanto fa discutere per i comportamenti. La plusvalenza più facile Monchi la farebbe con Alisson, che ha già parecchi occhi addosso, e potrebbe fare la valigia se un’eventuale proposta fosse ritenuta valida, nonostante sia uno dei pochi a dare sicurezza in questo periodo nero. Anche la solida difesa ha iniziato a traballare e ha perso il primato del minor numero di gol subiti, scavalcata dal Napoli, l’attacco è l’ottavo del campionato con 30 reti segnate, la percentuale di realizzazione è del 12,2% (1 centro ogni 8 tentativi) e quando la Roma va sotto nel punteggio non sa rimontare: è capitato 7 volte e solo contro il Chelsea è riuscita a pareggiare, altrimenti ha sempre perso. Un chiaro sintomo della paralisi mentale che «chiama» l’ennesima rivoluzione.