IL TEMPO (A. AUSTINI) - Mai così uniti, mai così tanti. La Roma punta sulla forza del gruppo, concetto abusato nel calcio sempre troppo intriso di retorica, ma nel caso specifico descrive perfettamente la svolta firmata Di Francesco: ora tutti si sentono coinvolti. Quindi si allenano e giocano meglio. La novità di ieri diventa fondamentale per continuare ad alimentare il turnover intelligente: tranne lo sfortunatissimo Karsdorp, destinato a tornare ormai nella prossima stagione, il tecnico ha potuto allenare il gruppo al completo. Schick sembra finalmente pronto, Florenzi ha smaltito in fretta l’infiammazione al ginocchio destro (non quello operato), Emerson da diverse settimane lavora con i compagni e ha già fatto il «tagliando» con la Primavera in attesa del rientro in campo vero e proprio, anche il giovane terzino Luca Pellegrini ha superato in tempi record la rottura del legamento crociato. Insomma dopo i troppi infortuni di inizio stagione, che hanno limitato le potenzialità di una rosa extralarge costruita da Monchi, l’allenatore adesso ha l’imbarazzo della scelta. «Voglio due giocatori dello stesso livello per ogni ruolo» ripeteva in estate Di Francesco e non lo diceva tanto per dire. In qualche caso ha addirittura tre opzioni e potrà quindi continuare a sfruttare la profondità della rosa giallorossa. Finora l’ha fatto molto più rispetto ai suoi colleghi allenatori delle «big». I ventuno giocatori utilizzati dalla Roma si sono distribuiti i minuti d’impiego in modo omogeneo: fatta eccezione per Alisson, Dzeko e Kolarov, tutti gli altri hanno saltato almeno due partite. La strategia opposta l’ha utilizzata Spalletti all’Inter: ben nove nerazzurri (su 19 totali schierati) sono rimasti in campo oltre mille minuti contro i sette «stakanovisti» giallorossi, una differenza più netta di quanto possa sembrare a prima vista, considerando che l’Inter non fa le coppe e ha giocato quattro partite in meno rispetto a De Rossi e compagni. Mentre Sarri è un altro che punta sempre su un blocco di titolari nonostante abbia affrontato più gare ufficiali (20) di tutti – su 22 giocatori impiegati 11 hanno già superato i mille minuti – Allegri è più vicino al metodo Di Francesco: nella sua Juve sono ruotati ben 23 elementi in 19 match e solo otto hanno un minutaggio a quattro cifre. Modi di allenare diversi, dettati anche dalla qualità delle rispettive panchine, ma di solito in fondo c’arriva chi sa gestire meglio le forze. Domani a Genova la Roma non cambierà il metodo: almeno quattro i cambi previsti rispetto a Madrid – dentro Florenzi, De Rossi, Strootman ed El Shaarawy – che potrebbero diventare sei con Juan Jesus e Defrel. Schick sarà convocato e venerdì prossimo con la Spal potrebbe arrivare il suo turno. Una sfida, quella contro i ferraresi, che sembra adatta anche al rientro di Emerson. Perché Kolarov e Dzeko, prima o poi, dovranno rifiatare. A Marassi, intanto, i giallorossi cercheranno la tredicesima vittoria di fila in trasferta (contando anche le ultime sette dello scorso campionato) per allungare la striscia record e iniziare nel modo migliore un mini ciclo di quattro sfide (dopo Genoa e Spal, trasferta col Chievo e Cagliari in casa) sulla carta abbordabili, prima della partita-verità nello Stadium della Juve il 23 dicembre. In mezzo ci sarà anche una qualificazione in Champions da conquistare all’Olimpico col Qarabag martedì 5. Il gruppo è compatto e ci crede, a cominciare dai leader. «Niente drammi dopo Madrid – dice Nainggolan a Sky – sappiamo tutti cosa fare, uniti possiamo arrivare in fondo». Juan Jesus gli fa eco: «Non ho mai fatto parte di uno spogliatoio così unito» giura sul match program del club. La fiducia c’è, ora pure l’abbondanza. Sperando che duri.