IL TEMPO (A. AUSTINI) - È il settimo anno che si sfidano ma la crisi è iniziata molto prima. Anzi, c’è sempre stata. La rivalità Roma-Lazio è forte soprattutto tra le due dirigenze. Lotito contro Pallotta, due mondi opposti e distanti non solo geograficamente, diversi botta e risposta polemici in passato senza usare mezzi termini. Sabato saranno di nuovo uno contro l’altro (da capire ancora se il presidente romanista si presenterà di persona allo stadio) per rinnovare una sfida che va ben al di là del campo. Da una parte c’è il grande elettore di Tavecchio in Figc, dall’altra il capo della società che rappresenta l’unico caso di ferma oppositrice. Mentre il numero uno laziale rastrellava voti per la presidenza ed è riuscito due volte a portare a casa il successo elettorale, la Roma si schierava in prima linea con gli altri candidati. Prima Albertini, poi Abodi. E non ha mai cambiato idea nel corso degli anni, a differenza ad esempio della Juventus che inizialmente guidava la fila dei club «riformisti» e da qualche tempo si è allineato alle posizioni di Lotito e, di conseguenza, di Tavecchio. C’è da aggiungere che una volta ottenuto il secondo mandato il presidente federale ha cercato di smarcarsi un po’ dal pressing del patron laziale, spinto a farlo dai vertici dello sport italiano. Pressioni di Malagò che, non ne ha mai fatto mistero, è romanista fino al midollo ed è sempre vicino ai progetti del club giallorosso. Compreso il nuovo stadio nonostante il Coni rischi di perdere un affittuario dell’Olimpico. Ora che i palazzi del calcio tremano, Lotito tifa comunque per la conferma del «traditore» Tavecchio perché nel frattempo vuole portare a termine il suo nuovo piano politico: tornare nel consiglio federale attraverso la carica che spera di ottenere presto nella Lega di serie A commissariata. Nessuno sembra in grado di fermarlo, a meno di una rivoluzione improvvisa che, stando a quanto successo ieri in Via Allegri, non è all’orizzonte. La Roma di Pallotta e Baldissoni, il vero «nemico» in Lega di Lotito, spera invece nell’esatto contrario: un azzeramento dei vertici a tutti i livelli. Passando dai corridoi al campo, il confronto tra i risultati racconta verità opposte. Guardando al campionato, non c’è storia: tolto il primo anno, la Roma americana è arrivata sempre davanti ai biancocelesti, si è guadagnata quattro volte l’accesso alla Champions (uno fallito ai playoff) contro la sola chance conquistata dai laziali poi battuti al preliminare dal Bayer Leverkusen, e dal 2011 ad oggi ha messo insieme in classifica 67 punti in più dei dirimpettai: il totale aggiornato ad oggi è 467 a 400, ma stavolta Inzaghi si giocherà il derby con un punto in più. Discorso diverso nelle coppe, dove la Lazio si è tolta il gusto di battere la Roma nella finale del 2013: un successo storico. E nelle ultime sei stagioni ha disputato la bellezza di sei finali tra Coppa Italia e Supercoppa contro la sola giocata contro i «cugini». In 13 anni di presidenza Lotito ha portato a casa 6 trofei, l’ultimo ad agosto battendo la Juventus, mentre Pallotta deve ancora vincere il primo. Insomma nella sfida sul lungo periodo prevale la Roma che fattura più del doppio della Lazio e si può permettere quindi di allestire una rosa più forte, ma nelle coppe la storia si ribalta. Finora i derby tra le due attuali presidenze sono in perfetto equilibrio (6 successi a testa e 3 pareggi) e il paradosso è che l’attesa per l’ennesima rivincita è più snervante tra i dirigenti che per i giocatori. Quanti amici nelle due squadre: gli azzurri Immobile e Florenzi, i bosniaci Dzeko e Lulic, l’ex Kolarov e Radu che, strano ma vero, ha un ottimo rapporto anche con tanti altri giallorossi, Felipe Anderson ed Emerson Palmieri sono ex compagni nel Santos, Lucas Leiva ha chiesto consigli a Juan Jesus per trovare casa nella Capitale. Dopo i 90 minuti del derby tutto tornerà come prima, mentre Lotito e Baldissoni continueranno a combattere fuori dal campo.