REPUBBLICA.IT (F. BOCCA) - “Un consiglio senza offesa, dormite con la luce accesa”. E tre manichini con la maglia di De Rossi, Salah e Nainggolan impiccati. Il tutto con lo scenario di sottofondo del Colosseo. Il tutto su un ponte pedonale utilizzato dai turisti di tutto il mondo, per fotografare il monumento storico più famoso del globo. Il contrasto è di grande effetto scenografico, direi quasi cinematografico. Quasi un “romanzo criminale” da Banda della Magliana. La delinquenza più cruda ha una sua spettacolarità ricercata, stupefacente, proprio a ribadire il suo potere, la sua capacità di colpire, di arrivare vicino alla gente, di non conoscere confini. Una sua sfacciataggine che ti lascia a bocca aperta. E ti mette paura. E se colpisce il passante figuriamoci quei calciatori che si ritrovano figurativamente con una corda al collo.
L’operazione è stata messa in atto da ultras della Lazio. Nei video diffusi in rete si vedono addirittura quindici-venti persone che in tutta tranquillità, con molta efficenza, e soprattutto sfacciatamente a volto scoperto e dunque si spera facilmente identificabili, calano i manichini impiccati alla ringhiera ed espongono lo striscione. Un vero e proprio “flash mob” criminale. Condito poi dal solito coro: "Roma, Roma vaffanculo". Non che l’immagine di Roma e della Capitale - già in fortissimo degrado sociale e ambientale da anni - possa dipendere da questo, però utilizzare il Colosseo come scenario di un gesto del genere è assolutamente inquietante, profondamente lesivo della dignità di tutta la città. L’inquinamento delinquenziale del calcio cioè colpisce anche ben lontano dal calcio stesso e investe tutti quanti. Posso benissimo immaginare un giapponese o un americano che in piena serata primaverile romana mentre vagano per monumenti, strade del centro storico e trattorie, assistono a questo “spettacolo”. E mai potrebbero immaginare, credo, che quello striscione e quei pupazzi impiccati abbiano a che fare col calcio, con lo spettacolo, con l’intrattenimento. Con un oggetto cioè che nulla dovrebbe aver a che fare con la criminalità comune. Ma tant’è il calcio oggi putroppo ha un suo lato oscuro, buio, profondamente fetente. E delinquenziale, appunto. La minaccia quando raggiunge certi livelli non è, come ho sentito, un gesto semplicemente dimostratico o goliardico messo in atto da “poveracci” o da “stupidi”, è un reato gravissimo perché toglie la serenità ai minacciati. E chi pratica minacce del genere è un delinquente, un criminale, da ricercare velocemente con tutte le attività di polizia giudiziaria necessarie e da togliere per un giusto tempo dalla società civile per detenerlo in carcere. Il Daspo non basta di certo. Non voglio mischiare per forza tifo e delinquenza, ambiente ultras e criminalità comune. Però è chiaro, anzi assodato che il problema esiste e sta diventando preoccupante. Non più tardi di un paio di giorni fa il capo della polizia, Gabrielli, in audizione alla commissione Antimafia ha parlato di un 27% degli abbonati alla curva sud della Roma con precedenti penali. Non è stato fornito però un dato relativo a ogni squadra, tanto meno delle infiltrazioni nella tifoseria della Lazio. Le minacce però sono un sistema delinquenziale ormai all’ordine del giorno. E che né il calcio, né le attività di polizia giudiziaria riescono a debellare. Ma è ora di cominciare una lotta seria e senza quartiere a tutto ciò, a chi si sente spudoratamente padrone non solo del calcio e dello stadio, ma anche delle nostre città.