LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Il trono un po’ kitsch da ottavo re di Roma non sembrava entusiasmarlo troppo, mentre presentava la scarpa dorata che l’accompagnerà verso l’addio al calcio. Subito o tra dodici mesi. La gente intorno a lui ha già iniziato a salutarlo commossa, come i carabinieri che s’affacciavano alle finestre del comando provinciale di San Lorenzo in Lucina per osservarlo. Mentre lui, Francesco Totti, cercava ieri di difendersi dai cori e dai selfie di duecento ragazzini nati quando il suo nome era già diventato un sinonimo di Roma. Chi si aspetta che il capitano giallorosso, ormai per tutti “il capitano” e basta, sappia cosa farà da grande probabilmente sbaglia. Un altro anno in campo? Una scrivania, anche se solo simbolica, a Trigoria o magari altrove?
Il tempo delle decisioni è imminente. Questione di ore, al massimo di giorni, prima che lui e la Roma si trovino a parlarne. Un appuntamento è nell’aria e se lo daranno presto. E di scontato non c’è nulla. Pensare che qualche settimana fa pareva tutto deciso: Spalletti via, Totti a celebrare la fine di una carriera lunga 24 anni con una festa in stile scudetto al Circo Massimo. Ora qualcosa è cambiato: Spalletti si sta convincendo a restare ancora un anno («Con il secondo posto si cambia facilmente il pensiero futuro»). E una delle condizioni che ha posto in tempi non sospetti è che «non facciano smettere Totti». Perché non vuole essere l’uomo a cui sarà rimproverata la fine di una carriera così: qualcuno disposto a farlo lo troverebbe di certo.
Chissà allora come si muoveranno a Londra, dove opera Franco Baldini e dove Pallotta ha delocalizzato - in una palazzina a Mayfair - il centro di potere. Chissà se il presidente americano che già aveva annunciato un anno fa di aver firmato «l’ultimo contratto della carriera di Totti» potrebbe ripensarci. Chissà se Roma, prima ancora della Roma, è pronta a immaginare un presente senza Totti, senza le 80mila maglie con il suo numero 10 vendute ogni anno (ma il club è convinto che continuerà a venderle per anni anche “dopo”). O se Totti stesso è pronto a immaginarlo: dice di sì chi lo conosce. E forse questa stagione, con un po’ di fatica in più nel trovare la forma dopo gli infortuni, l’avrà pure vissuta come un segnale. Ma un epilogo diverso da quello del ritiro annunciato non sorprende più. Sorprende semmai sentirgli dire che «tra carbonara e amatriciana non scelgo nessuna delle due. A me la cucina romana non è che...». Un po’ come se l’americano a Roma di Alberto Sordi rigettasse il “maccarone”, anziché sussurrargli: «M’hai provocato e io ti distruggo».
Totti, per ora, si limita a voler “distruggere sul campo” la Lazio: insomma, la prospettiva più a lungo termine a cui vuole pensare è il derby di domenica. Quasi per evitare la domanda che aleggia pure a Trigoria: cosa farà Totti dopo Totti? Non è un mistero che i rapporti con Baldini non siano mai stati ottimi, per usare un eufemismo. E, diciamocelo, neppure quelli con Spalletti. L’unico modo in cui tutti i protagonisti in gioco possano convivere serenamente, se non felici, è che non debbano confrontarsi quotidianamente: resta da capire però se le prospettive siano convincenti abbastanza da rinunciare per sempre all’idea di un Totti in campo. Almeno fino a quando non toccherà al figlio Cristian. Anzi: se toccherà a lui. «Gli occhi ce li ho, a lui piace tanto giocare ma tra tre o quattro anni lo giudicherò e gli dirò le cose come stanno», promette Francesco. Chissà quanti giovani calciatori vorrebbero avere il privilegio di ricevere un consiglio su cosa fare dalla leggenda della Roma: forse, il futuro di Totti, sarà proprio concederglielo.