Stadio della Roma. Lo stop dei “burocrati” che cosi salvano il paesaggio

18/02/2017 alle 15:20.
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LA REPUBBLICA (T. MONTANARI) - Dialogando amabilmente con Matteo Salvini, Maria Elena Boschi si era impegnata in diretta televisiva (a Porta a Porta, il 16 novembre scorso) a chiudere le soprintendenze («io sono d’ accordo diminuiamo le soprintendenze, lo sta facendo il ministro Franceschini. Aboliamole, d’accordo») dopo la vittoria del Sì al referendum costituzionale. Sappiamo com’è finita: e, per ora, le soprintendenze ci sono ancora. E dunque le amministrazioni comunali non possono fare proprio quello che vogliono del territorio e del patrimonio culturale delle loro città.

È così che un paletto molto ingombrante, o addirittura esiziale, per la mega speculazione è stato piantato proprio dagli uffici periferici del Ministero per i Beni Culturali. Il vincolo che ieri sera è stato firmato dalla soprintendente di Roma Margherita Eichberg non solo impedisce la distruzione dell’Ippodromo di , tutelando un edificio importante (e, ironia della sorte, anche la memoria storica delle Olimpiadi romane del 1960), ma, bloccando praticamente i lavori in tutta la famosa particella 19, costringe la Conferenza dei servizi sullo Stadio a fermarsi. E ora si aprono due possibilità. La prima è che tutto il progetto si fermi, e che gli attori internazionali di questa speculazione migrino altrove, secondo le logiche rapaci della creazione del denaro dal cemento. La seconda è che invece si sia disposti a rivedere, correggere, riscrivere il progetto, sostituendo un vero parco all’attuale colata di cemento. Mille ragioni – dall’assetto idrogeologico di al sistema dei trasporti – renderebbero preferibile la prima, più radicale soluzione: ma in ogni caso l’intervento della tanto denigrata “burocrazia” della soprintendenza sta rendendo al futuro della città e al bene comune uno straordinario servizio. È impossibile non rilevare la singolarità della situazione. Pochi giorni fa, la magistratura ha sequestrato il cantiere di un villaggio turistico che massacrava il meraviglioso paesaggio e il patrimonio archeologico di Punta Scifo, in Calabria, motivando quell’atto anche con «l’inerzia della Pubblica amministrazione nelle sue varie articolazioni [soprintendenza compresa] coinvolte nell’iter autorizzatorio, che. .. non ha mai inteso compiere le dovute verifiche ed eventualmente esercitare il potere-dovere di autotutela». In questo caso calabrese la soprintendenza è venuta completamente meno ai suoi doveri, mentre il Movimento 5 Stelle è stato invece determinante nel sostegno ai comitati civici che si battino da tempo contro quel cemento.

A Roma, invece, abbiamo la situazione esattamente opposta: la soprintendenza fa coraggiosamente la sua parte (rispettando in toto il parere radicale del comitato tecnico scientifico, e non curandosi delle superiori indicazioni che consigliavano una linea morbida da ‘pecora morta‘), e mette le mani in un fuoco incandescente, proprio mentre la giunta 5 Stelle sembrava apprestarsi a varcare la linea d’ombra del cemento. È questa la contraddizione che sta infiammando in queste ore la base del Movimento, non dimentica che una delle famose 5 stelle rappresenta proprio l’ambiente.