IL FATTO QUOTIDIANO (L. VENDEMIALE) - Ventitre secondi (e qualche centesimo di meno) per segnare il primo gol, tre minuti per firmare una doppietta storica. A 39 anni Francesco Totti ha dimostrato di saper essere ancora decisivo per la Roma: senza di lui i giallorossi avrebbero quattro punti in meno in classifica, braccati dall’Inter. Così invece il terzo posto e la qualificazione in Champions League sono praticamente ipotecati. È davvero il caso di liquidare in malo modo un giocatore del genere?
La risposta, a chiederla per le vie della Capitale, è no. I tifosi rispondono per amore: Totti è la Roma, quasi un pezzo delle loro vite. Il calcio moderno, però, non conosce riconoscenza, e tanto meno la proprietà a stelle e strisce del presidente Pallotta, decisa a rottamare il suo campione più rappresentativo. Compito ingrato affidato al carnefice Spalletti, che forse ha preso un po’ troppo sul serio il ruolo di sergente di ferro, trasformando un problema societario in una questione personale. Fino a ieri la rottura sembrava irreparabile: “Non cambia nulla”, aveva detto il tecnico toscano dopo il pareggio contro l’Atalanta. Ora qualcosa è cambiato eccome. Lo si intuisce anche dalle parole del post-partita. Molto più distese, tutte complimenti e sorrisi (tirati). Si è passati da “quel gol lo fa anche fra tre anni” a “quel gol che soltanto lui sa fare”. Con persino una mezza ammissione di colpe: “Forse l’ho inserito un po’ in ritardo”.
Convinte o di facciata, le dichiarazioni di Spalletti sono quasi obbligate. Difficile dopo tre gol decisivi mettere alla porta Totti. Viene quasi il dubbio che l’allenatore non lo facesse giocare per questo, per paura di quello che il campione avrebbe potuto fare in campo. Un capitano immalinconito in panchina avrebbe fatto quasi comodo: l’addio in sordina, più facile da metabolizzare per i tifosi, era probabilmente quello a cui puntava la società. Adesso che si fa? Totti ha trasformato l’offesa dei cinque minuti finali che il suo allenatore gli aveva riservato contro il Torino in un momento indimenticabile. Ha dimostrato sul campo di poter essere ancora giocatore vero, utile. Ma con questi tre gol non cadono tutte le obiezioni che avevano portato alla scelta dell’addio. L’incapacità fisica a 39 anni di reggere i ritmi che Spalletti pretende per la sua formazione da scudetto, quella psicologica di accettare un ruolo più marginale nei piani della squadra.
Se è vero che Totti ha salvato la Roma, va anche detto che era stata la sua ombra a rimetterla nei guai. È bastato un mezzo passo falso col Bologna dopo mesi di vittorie per riaccendere le polemiche sul suo mancato impiego. È quasi comprensibile che in queste condizioni allenatore e società preferiscano fare a meno della sua presenza. Ma l’addio, fino a ieri doloroso e ingrato, adesso sarebbe una sciagura: Spalletti e Pallotta dovrebbero convivere con il peso della rottamazione di Totti. Qualcosa di imperdonabile per la città. Il tecnico verrà aspettato al varco e lapidato alla prima sconfitta: o vince subito, oppure sarà costretto a fare le valigie. La società, che ha già contro il tifo organizzato, rischia di inimicarsi tutto l’ambiente. Creando un clima in cui vincere sarà difficile, quasi impossibile.
Magari non è ancora troppo tardi per trovare una soluzione. Partendo proprio dalle parole di Spalletti: “Lo uso quando la squadra è in difficoltà”, “quel gol lo fa anche fra tre anni”. Bene: perché rinunciarvi allora, perché non pensare a un ruolo diverso per il capitano. Più uomo da spogliatoio e meno da campo, impiegato con il contagocce nei momenti più importanti, in cui essere decisivo. Un Totti alla Altafini, per intenderci: queste ultime partite dimostrano che potrebbe funzionare. Con un patto chiaro fra gentiluomini, però: Totti dovrebbe essere il primo a capire che così non si può andare avanti, ad accettare la nuova dimensione e convincerne i tifosi. Mettendo fine una volta per tutte al tormentone per cui non può esserci altro attaccante all’infuori di Totti (da Borriello a Destro, passando per Dzeko, in troppi ne hanno fatto le spese), e che ha finito per trasformare il capitano in un problema per la sua squadra. È l’unica strada per evitare un addio che oggi non avrebbe vincitori. Per il bene di Francesco, della Roma, e in fondo di tutto il calcio italiano. A cui Totti, quando se ne andrà, mancherà tanto.