IL TEMPO (E. MENGHI) - Un capolavoro contro un’opera d’arte, una squadra costruita per vincere contro un’outsider. I punti di vista di Spalletti e Sousa alla vigilia dello scontro diretto per il terzo posto svelano tattiche comunicative simili: la Roma elogia la Fiorentina e viceversa, in un gioco di rimbalzo che non toglie pressione a nessuna delle due. Vincere è l’obiettivo di entrambe, perché ci sono tre punti pesanti in palio stasera e i tecnici sono astuti ma non bugiardi, perché è vero che il giallorosso ha fatto una magia a rialzare un gruppo a pezzi, partito con l’etichetta di anti-Juve, ed è vero anche che i viola si sono rilevati gli «intrusi» di cui parla l’allenatore portoghese nella corsa alla Champions.
«Di loro – ha ammesso Spalletti – temo quello che hanno fatto negli ultimi 3-4 anni più quello che ha aggiunto Sousa. Hanno creato un calcio moderno, spettacolare. Se prendiamo in esame il gruppetto di squadre di cui fa parte la Fiorentina, è quella che è stata più brava di tutte a lavorare. La Roma un po’ le somiglia, ma dobbiamo essere più bravi di sempre in questa partita. Se loro sono convinti di aver fatto un’opera d’arte, io posso dire ai miei ragazzi che abbiamo fatto un capolavoro nel ribaltare la situazione e nell'avere quella solidità mentale che ti consente di lottare fino in fondo». Un’ora dopo è il turno di Sousa: «Per la Roma è decisiva, per noi no perché tra i primi sei siamo gli intrusi e sono loro ad avere il dovere di arrivare lassù. Poi hanno avuto più tempo di preparare la gara e sono avvantaggiati».
Due giorni in più a cui Spalletti ha invitato a non far caso per dare una lezione sugli alibi ai suoi più che altro: «Noi andremo a giocare contro il Real Madrid che ha giocato mercoledì e non andrò a dire ai miei calciatori che sono più stanchi degli spagnoli. Non vogliamo avere alibi, bisogna sempre essere pronti. La Fiorentina lo sa». Il cambio di mentalità passa anche da qui. E dalla cultura del lavoro: «Burdisso dice che qui non ci si allena bene? Se il Genoa ce lo presta per una settimana, gli dimostriamo il contrario. Questo è un ambiente ideale per lavorare, purtroppo nella vita ci sono persone che non fanno, quelli che fanno e quelli che si accodano a quelli che fanno, allora per stare a un buon livello tengono l’ambiente basso. Più basso è più ci si intrufola, ma qui le cose si sanno fare. Chi ha paura degli altri o non vuole migliorarsi, deve andar via. Noi vogliamo migliorare. Il mio atteggiamento sarà sempre in questa direzione».
In Pallotta percepisce la stessa intenzione: «È carico di entusiasmo e lo avrà trasferito alla squadra. Se vuole migliorare ha ragione, bisogna sempre osare: guardare avanti fa la differenza». Spalletti non lo dice ma il suo sguardo arriva fino al secondo posto, ora lontano 5 punti. Non si sente solo al comando, è circondato da lavoratori come lui: «Sono in buonissima compagnia. Noi abbiamo più di una squadra, mancava solo il presidente, ora siamo al completo. Io prendo decisioni che riguardano la mia area tecnica e lì qualche cosa la dico perché poi dipende da me il risultato di quel lavoro. Ma il caffè lo faccio fare al barista». Può decidere se far giocare Dzeko o continuare col falso 9: «Ha fatto bene quando è entrato ad Empoli, ma la squadra ha fatto altrettanto bene senza di lui. Kalinic? È diverso da Edin, attacca lo spazio dietro alla linea difensiva e non sente il morso delle difficoltà nella confidenza con la porta. Lui è stato una scoperta, Dzeko è arrivato nella capitale con il blasone delle sue grandi qualità». Un po’ come Fiorentina e Roma.