LA REPUBBLICA (E. SISTI) - C'è tanto in ballo in questa danza macabra di panchine che minacciano di saltare e di allenatori che minacciano di non mollare. Ora le ultime spiagge di Mihajlovic e Garcia stanno una di fronte all’altra. In mezzo c’è un mare di guai. Se dovesse andar male stasera, una sconfitta, un pareggio triste e vuoto come ce ne sono già stati tanti, magari l’ennesima rimonta subita, se non dovesse scattare quel «clic che farà sembrare ciò che abbiamo vissuto solo un brutto ricordo», il progetto di Garcia, il progetto nato per vincere elaborato dall’uomo nato per restare per volere dell’uomo nato per non esserci mai (Pallotta), quella forse esagerata fantasia in cui il “Ferguson della Roma” avrebbe dovuto assumersi sempre più responsabilità creando una storia gestionale nuova, felice e altamente redditizia: ebbene tutto questo potrebbe concludersi già stasera, o magari fra una settimana, oppure a Torino contro la Juventus. Se la squadra continua a balbettare calcio, i tempi si restringono e l’umore scende in cantina, avvicinando la fine. E il clic sarebbe solo quello della serratura che chiude la porta in faccia ai sogni. Questa Roma è un film a episodi. Tutti slegati. Manca un filo conduttore. Mancano un regista e una trama credibile. Non è facile capirci qualcosa se Pjanic di colpo smette di giocare, se il paradosso “Sadiq più forte perché più prolifico di Dzeko” diventa fonte di consolazione (semmai è un allarme rosso!), se il Salah guarito sembra un altro giocatore, se Totti è convocato (dopo circa un secolo) ma in realtà non è in condizioni di giocare. La confusione e le sue derive malinconiche, depressive, sono l’unica certezza dell’universo agonistico-finanziario che ruota attorno a Trigoria.
La Roma può sembrare una grande squadra quando entrano in scena motivazioni supplementari (contro la Juve, in casa della Fiorentina, nel derby), in altri dieci casi è stata pari al Chievo, a Napoli ha giocato da Chievo, annidata come una piccola fiammiferaia. Contro il Chievo s’è fatta rimontare “da Chievo” perché non ha abbastanza gioco e convinzione per chiudere partite già vinte (lo sketch più gettonato). È un’entità raffazzonata. Garcia ebbe un giorno la sensazione di essere diventato un imperatore. Adesso non c’è partita che non sia costretto a parlare del suo domani, temendo che non ve ne sia uno. Dov’è la sua Roma? Si è liofilizzata lentamente. perdendo Strootman. Il club sta cominciando a scontare il fatto (non riconosciuto) di essere già entrato nel dopo-Totti, come il Liverpool nel dopo-Gerrard. E le circostanze non l’aiutano. Mancano leader, genio e cuore. E dopo? Se continua così, solo mediocrità, qualche vittoria per ribadire lo stallo, niente di più. O Spalletti. Cosa c’è stato prima? Due secondi posti a 17 punti dalla Juve e senza mai dare l’impressione di poter vincere lo scudetto (come invece accadde per i secondi posti di Capello, Spalletti e Ranieri). Una Champions chiusa male, una ancora aperta ma con Ronaldo e Zidane che ti hanno già messo nel mirino. Come si vede, siamo già ai bilanci. Il traballante presente di Garcia è composto da un’accolita di talenti che spesso diventano fumo all’unisono anche per colpa sua. Tutto è possibile, certo, ma il buon calcio è sempre sincero: se c’è si vede. Solo un cambio di qualità e di marcia nel collettivo potrebbero resuscitare amore, emozioni e contagi virtuosi. Ma siamo onesti: forse nemmeno la Disney saprebbe concepire un cartone tanto ottimista e chiamarlo “Clic”.