LEGGO (R. BUFFONI) - «Mai schiavi del risultato», era il motto adottato dalla Sud durante la revolución di Luis Enrique. Manifesto di una scelta totalmente fideistica e in linea con l’essenza del tifoso giallorosso, caldissimo nonostante una storia avara di successi. Coerenti, dunque, coloro che mercoledì hanno fischiato l’annuncio del passaggio agli ottavi di Champions: troppo brutta questa squadra per appagare l’ego romanista.
«Cor core acceso da ’na passione», recita l’inno Campo Testaccio scritto negli anni Trenta che si vanta «questo è er gioco e Roma ve lo ’nsegna». Da un anno abbondante, però, c’è poco da fare i fanatici. La squadra di Garcia, a detta di tutti, non ha un’organizzazione di gioco. Senza Gervinho sono tempi cupi, che diventano bui con il rarefarsi di Totti e con i danni causati dal terremoto plusvalenze (epicentro in difesa). Di questo, di calcio e non di ipotesi di complotto a mezzo stampa, sarebbe meglio parlasse Pallotta per essere, come garantisce, «sulla stessa lunghezza d’onda dei tifosi». Sempre che la cosa gli sia possibile, gli piaccia o gli interessi.