LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Garcia non sarà più quello di prima. C’è un fiume chiamato Juventus che separa le due rive, alcuni comportamenti antitetici non s’incroceranno più, paure da una parte, forza di gruppo dall’altra. «Stiamo costruendo una grande Roma», canta il rocker mai pentito James Pallotta dall’altra parte dell’oceano, adattandosi al ritmo frenetico dei suoi contro i campioni d’Italia: «Sono sempre più innamorato della Roma. E sono orgoglioso di averla vista giocare così bene per 90 minuti, sempre all’attacco ». E l’ambiente intona con lui la canzone della rivincita: un cocktail di immagini simbolo (Chiellini aggrappato a Dzeko, il “due” di Digne esibito in stile Totti agli avversari juventini) e di giocate misticamente ritrovate nell’occasione più importante, contro l’avversario che avrebbe anche potuto chiudere un’epoca (c’era Montella in tribuna): «Ma Garcia è stato spesso un capro espiatorio, come me», prosegue Pallotta. Non c’è un vero segreto dietro la Roma nuova, che diventa Juve davanti alla Juve, che ritrova rabbia, distanze, convinzione in se stessa. C’è piuttosto un cambiamento radicale, voluto dall’allenatore, nel modo di confrontarsi quando nessuno vede. Lo scorso anno si parlò dell’importanza dell’allenamento invisibile, quello che un giocatore deve effettuare a casa, nel privato, garantendo al proprio corpo la giusta alimentazione e il corretto riposo.
Adesso si dovrà parlare dell’importanza, decisiva, della condivisione invisibile, quella che ha portato la Roma a prendere in modo quasi collettivo, pur restando Garcia il “primus inter pares”, alcune decisioni tattiche («preferiamo giocare aggredendo», come ai tempi di Strootman) e persino a fare alcune scelte di formazione: Dopo Verona non andò giù a molti la “prevalenza” di Gervinho, titolare a sorpresa. In altri tempi sarebbe stato motivo di scontro, avrebbe prodotto strappi,discussioni, tensioni. Così come gli occhi di Totti e la sua inedita presenza/ assenza, per la prima volta in panchina per i primi 180’ di campionato da quanto Totti è Totti: scomoda verità alla prova dell’ambiente e dello stesso capitano. Nella Roma nuova si può fare a meno di tutti ma di tutti (e di Totti) c’è bisogno. Totti tace. Ora a Trigoria sono gli stessi giocatori, ufficiosamente, a consigliare a Garcia di risparmiare Castan, ancora visibilmente in difficoltà. Loro a capire la sofferenza di Iturbe, che chiedeva alla società una prova d’appello. Loro ad avallare l’abbassamento di De Rossi sulla linea di Manolas. E’ nata Democrazia Roma, una società diversa, senza un presidente operativo, con un allenatore meno autarchico e meno solo, con un cuore multiplo. Salutati Paredes, Ibarbo e Ljajic, la nuova Roma è la Roma di Edin Dzeko, il Batistuta che non c’era, di Pjanic, di Salah, di Digne, di un De Rossi felice, di Keita che si dispera per aver perso una palla, una di numero. E di Totti. E’ la Roma che aggredirà, rimanendo se stessa, anche il Frosinone. E le altre. Senza sosta. Solo sturm und drang: non ci sarà altra Roma all’infuori di questa.
Il successo parte dal rapporto tra tecnico e giocatori pronti a discutere delle scelte Pallotta: “L’allenatore purtroppo, ogni tanto è un capro espiatorio, come succede a me...”