IL TEMPO (T. CARMELLINI) - Vince la Roma: giustamente. Nonostante quei dieci minuti finali che resteranno impressi, indelebili, nella mente dei tifosi giallorossi: perché pareggiare una partita così dopo ottanta minuti di dominio totale, sarebbe stata davvero una beffa. I tre fischi del «democristiano» Rizzoli (rigore negato in avvio alla Roma e molti dubbi durante tutta la gara sia da una parte che dall’altra: bravo almeno su quel mani di De Rossi difficilissimo da valutare in diretta), arrivano come una liberazione. Dall’Olimpico letteralmente in delirio parte comunque un segnale chiaro per il campionato: la Roma c’è e anche quest’anno proverà a dire la sua contro una Juve che, nonostante la pochezza mostrata ieri, un mercato ancora da finire e giocatori nuovi da inserire, continua ad essere la squadra da battere.
LO SCEMO DEL VILLAGGIO - E oltre ai tre punti importantissimi per un campionato partito in salita, a Garcia resta un’ora abbondante di grande Roma. La nebbia si è diradata all’improvviso e sotto s’è vista finalmente la squadra che il tecnico ha in mente e sulla quale sta lavorando da tempo. Così, come per miracolo, lo «scemo del villaggio», proprio colui che voleva riportare la chiesa al centro e che sette giorni addietro in molti volevano già lontano dalla Capitale, è tornato ad essere il migliore: l’imperatore. È il calcio... soprattutto a Roma. Calma, la strada è ancora lunga.
ALLARME JUVE - Ma questo successo della Roma suona anche come allarme per i bianconeri: così non si va da nessuna parte. Impossibile pretendere che una rivoluzione iniziata con le partenze di Tevez, Vidal e Pirlo e finita con l’inserimento di Padoin al centro della manovra, potesse portare a qualcosa di buono nel breve termine. Però nessuno si aspettava che la Juve fosse così indietro (forse nemmeno il ct Conte che ha visto la partita dalla tribuna autorità dell’Olimpico) anche come condizione fisica: primo tiro in porta dopo settanta minuti, atteggiamento da provinciale e record negativo che entrerà nella storia bianconera. Mai la Juventus aveva perso le prime due partite di campionato in serie A a girone unico. Per gli amanti dei numeri e delle statistiche la squadra bianconera non finiva un primo tempo senza tirare in porta dal 2004.
SORPRESE E MISTERI - Nella Roma invece per oltre un’ora ha girato tutto alla perfezione, nonostante l’apprensione per una formazione che ha visto stravolgimenti dell’ultima ora. A sorpresa non c’è Castan nella difesa titolare ma De Rossi arretrato in coppia con Manolas. La domanda scatta automatica: cosa è successo a Castan (per altro regolarmente in panchina)? Se la situazione in difesa è questa (e la cosa che in automatico manda in apprensione anche il centrocampo), qualche dubbio sul mercato giallorosso viene spontaneo. Così come resta inspiegabile l’assenza di Maicon, dato per titolare fino a ventiquattro ore dalla partita e poi «scomparso» per una misteriosa «influenza intestinale».
ROMA BOSNIACA - Assenze ingiustificate a parte è stato un monologo, aperto dal palo di Pjanic dopo poco più di venti minuti di gioco e non è divenuto un bagno di sangue per i bianconeri solo per la scarsa precisione sotto porta degli uomini di Garcia che a un certo punto arrivavano da tutte le parti. Ed è stato così fino al secondo gol siglato da un grande Dzeko (sua prima perla stagionale) che ha di fatto rianimato una Juve fin qui inesistente. A quel punto alla Roma è venuto quello che in gergo tennistico si chiama «braccino», ha avuto paura forse, comunque non è stata in grado di chiuderla dimostrando di non essere ancora consapevole della sua forza. Qui la Juve, che nonostante sia ancora un cantiere aperto, squadra lo è eccome, ha confermato come nel calcio non si possa concedere nulla: mai. E che le partite vanno chiuse. Così, non solo a tre minuti dal termine la Roma incassa il gol del 2-1 da Dybala (ottimo acquisto e migliore dei suoi assieme a Bonucci), ma rischia la beffa a tempo scaduto.
LE BASI DEL MESTIERE - A salvarla ci pensa Szczesny, portiere polacco appena arrivato dall’ultimo stralcio di mercato che conferma un vecchio adagio. «A don Arfio, manco le basi del mestiere... » recitava un noto sketch verdoniano preso ad esempio dal ds Sabatini che per la nuova stagione è partito da un attaccante e un portiere: le basi del mestiere appunto. Il giovane polacco, che in un paio di uscite non è apparso perfetto, si è riscattato nel finale smanacciando la carambola conclusa con il colpo di testa di Bonucci che poteva, ben oltre il novantesimo minuto, cambiare tutto. Ma sarebbe stato davvero troppo, anche per questa Roma tutta in via di sviluppo.
ORA CALMA E GESSO - Il problema, prima come ora, sarà quello di fare le giuste valutazioni. Se dopo novanta minuti culminati col pareggio di Verona non era tutto da buttare, adesso dopo il successo netto contro la Juventus non è tutto oro quello che luccica. La strada è lunga e la Roma dovrà dimostrare di saper crescere con calma, di avere tutte le pedine al posto giusto. I giallorossi dovranno lavorare un po’ sui misteri difensivi, capire cosa fare a centrocampo, reparto che appare ancora da completare, ma soprattutto dovranno crescere. Di testa, acquisire quella mentalità vincente che fin qui non c’è stata e anche ieri ha rischiato di fare la frittata e forse prendere anche un po’ di consapevolezza del proprio potenziale.