GASPORT (M. CECCHINI/D. STOPPINI) - Ma come? La Roma «vince il campionato degli altri» — copyright Garcia — e nel bilancio di fine stagione sono solo quattro i giocatori in vetrina? Ecco, la domanda ce la facciamo da soli e da soli ci diamo pure la risposta, in stile marzulliano . Sì, perché vicino a Florenzi, Keita, Manolas e Nainggolan non è giusto mettere nessun altro. Se è vero che la classifica finale racconta di una squadra seconda, dietro solo alla Juventus, un peso specifico importante ce l’hanno pure le aspettative. E le aspettative, per quanto in queste ore Garcia racconti altro, erano di una Roma che non necessariamente avrebbe dovuto vincere lo scudetto, ma certamente sarebbe dovuta restare più a lungo in corsa, magari accorciare il gap di 17 punti — rimasto inalterato — dai bianconeri, di sicuro fare qualche passettino in più in avanti in Coppa Italia e in Europa League.
A META' - E allora ecco il motivo. È il rapporto tra risultati e aspettative a stilare automaticamente un bilancio non esaltante per i giallorossi. Bilancio in cui dietro i top four c’è una decina di calciatori comunque nei dintorni della sufficienza, con motivazioni differenti uno dall’altro. Perché la sufficienza di De Rossi non è certo quella di Yanga-Mbiwa, quella di Totti è ben distante da quella di Ljajic, che viaggia nell’aurea mediocritas di chi ha messo su un girone d’andata ottimo e un ritorno insufficiente.
AL DI SOTTO - E poi ci sono le delusioni. In cui va inserito pure Strootman, non certo per il rendimento ma per colpa di un infortunio che ha tolto di mezzo un calciatore fondamentale per la stagione della Roma. La dimensione di un’annata a metà la dà anche il fatto che Maicon e Gervinho, due tra i migliori del 2013-14, sono oggi classificabili tra i peggiori della rosa giallorossa. Di più: Iturbe, al netto del gol nel derby, va considerato una delusione, non fosse altro perché era arrivato con l’etichetta del colpo dell’estate, sfilato alla Juve in un duello di mercato che avrebbe dovuto anticipare il duello sul campo. Perfetta metafora, Iturbe, di un’annata dolce nel finale, ma piena di interrogativi a cui dare risposta nel mezzo. Interrogativi che magari saranno discussi anche giovedì, nell’incontro di Londra.