CORSERA - Francesco Totti può esibire soddisfatto «la grande bellezza» sulla t-shirt con dedica, ma Roma come al solito dopo un derby si trova a rivivere la grande amarezza. Dopo un derby come dopo ogni partita a rischio, e ormai sono parecchie. Si può giocare di sera, di pomeriggio, all’alba, di lunedì come pretendeva Lotito, di domenica come usava un tempo; si possono predisporre zone rosse e chiusure al traffico; si possono schierare 1.900 agenti, con costi che ricadono sulla comunità, e controllare a vista gli ultrà che si avvicinano all’Olimpico. Ma il risultato non cambia mai: se va bene, un paio di accoltellati come è accaduto ieri, evento che dovrebbe far inorridire a prescindere ma che viene accolto con grande sollievo, della serie «poteva andare peggio»; se va male, come prima della finale di Coppa Italia dello scorso anno (e né Roma né Lazio stavano in campo) ci scappa il morto. E quando i tifosi stranieri arrivano a Roma al seguito delle loro squadre nelle coppe europee, vengono abbondantemente avvisati dalle autorità di casa loro: attenzione, trasferta ad alto rischio. La città di Roma e i romani non meritano questo trattamento, non meritano di impiegare ore per tornare a casa in auto perché la guerriglia urbana manda il traffico in tilt, non meritano di dover concedere le proprie strade a gruppi di ragazzotti con divise paramilitari, mascherati e incappucciati, che non vedono l’ora di fare a botte (se va bene) con i pari grado dell’altra squadra. Dice: non accade solo a Roma, tutto il mondo è paese, tutti gli hooligan sono uguali. Vero. Ma è vero anche che di Roma il mondo conosce sì i monumenti, la storia, l’arte, la grande bellezza appunto, ma conosce anche la «puncicata», la puntura (o la coltellata), il marchio di fabbrica delle risse ultrà. Una definizione universale. Ma c’è poco da vantarsi.
Ma la Capitale non si merita questa grande bruttezza
26/05/2015 alle 15:18.
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