GASPORT (A. PUGLIESE) - Per un attimo è sembrato quasi di essere dentro uno stadio virtuale, tra applausi, cori e — purtroppo — qualche fischio. Niente se paragonato a ciò che succede negli stadi italiani. Che, poi, non è altro che il cuore del convegno «Vivere lo stadio: una passione a rischio?», organizzato da La Sapienza di Roma con il Dipartimento di Pubblica Sicurezza–Osservatorio Nazionale Manifestazioni Sportive. Quei fischi sono un po’ la metafora della cultura sportiva italiana, quello che succede negli stadi il pericolo di una malessere dilagante, specchio di una società sempre più in crisi di identità e valori. «Ma io gli stadi li chiuderei, chi vuole guardare la partita lo può fare tranquillamente da casa — dice Marisa Grasso, vedova dal 2007 dell’ispettore capo Filippo Raciti —. A livello culturale è cambiato poco, sono molto preoccupata. E terrorizzata dal pensiero che possano ripetersi fatti come quello che ho conosciuto io o Antonella Leardi».
PRINCIPI E TOLLERANZA - Già, a livello culturale. È lì che il calcio deve fare il salto di qualità ed è lì che si gioca una partita molto più importante di quelle classiche. Perché è lì, in fondo, che il nostro calcio si gioca molto del suo futuro. «Il problema è che per anni abbiamo tollerato comportamenti che nulla hanno a che fare con lo sport — dice Claudio Lotito, presidente della Lazio — Che scadono in situazioni immorali e che violano i principi della dignità umana. In nome di cosa l’abbiamo fatto? Del tifo, ma quello non è tifo». Alla fine l’ombelico è proprio questo, capire quale è l’humus del vero tifoso e quale no. Non bisogna arrivare fino alle nuove scritte contro Pallotta per capirlo, bastano anche solo quei fischi di ieri a Pioli e Lotito. Lo scatto culturale dovrebbe essere anche questo, cominciando con il fare tifo pro e non contro.
TRA STEFANO E RUDI - E dentro il problema, allora, ci va a finire proprio Stefano Pioli, il tecnico della Lazio: «Quando vediamo comportamenti scorretti da parte dei tifosi, in campo proviamo sempre grande tristezza. Lo sport è passione, entusiasmo, emozione. E chi supera il limite della legalità non può starci dentro. Di più, noi grandi dobbiamo fare la nostra parte di cittadini e genitori, vedere bimbi che fanno gesti, insultano o provocano non va bene». Bingo, l’humus è questo. E si ritorna al discorso della cultura sportiva, quello che i piccoli di oggi (che poi non sono altro che i tifosi di domani) vedono dai grandi e ripropongono. Basti tornare con la mente a JuveUdinese del 2013, in cui i bimbi portati allo stadio per la squalifica delle curve bianconere insultarono continuamente Brkic, con ulteriore ammenda di 5mila euro per la Juve. «Lo sport in generale, ma il calcio in particolare è una scuola di vita — dice Rudi Garcia, allenatore della Roma — Non esiste il colore della pelle, la religione o altro, conta solo se sei bravo o meno. Il rispetto è importante, nella vita e nello sport. Mi auguro che presto si possa andare allo stadio in un clima di rispetto totale, anche in un derby ». Un appello per il 24 maggio. «Gli sfottò fanno parte del tifo, se restano entro certi limiti sono anche piacevoli — chiude Pioli — Altrimenti via, per i teppisti non c’è più spazio, devono essere isolati. In uno stadio vogliamo solo i tifosi veri». Già, il punto è questo. Chi sono i tifosi veri? È una questione culturale. E lo stadio, forse, è davvero una passione a rischio.