LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Ha festeggiato il compleanno a Trigoria, pizza con i compagni come da tradizione, gli scherzi di Totti, le battute in francese di Gervinho. In testa però Miralem Pjanic, 25 anni ieri, aveva già il Napoli, l’avversario contro cui è sbocciato un anno fa: «Una partita importante per la mia storia qui a Roma».
Dai due gol e l’applauso di Maradona, alla tragedia di Ciro Esposito. Sensazioni?
«Era la mia prima doppietta in Italia, bellissimo. Ora sarà tutto diverso, uno scontro diretto contro un’ottima squadra, starà a noi cercare di vincere, vogliamo allontanare le concorrenti. Di altro non parlo».
Ultimamente però vedervi giocare come un anno fa è raro.
«Spesso in campo si spera di risolvere la partita individualmente più che collettivamente, che era stata la nostra forza. E poi siamo entrati in una spirale negativa: le abbiamo provate tutte, ma una volta nel tunnel non è facile uscirne».
A 25 anni è tempo di bilanci: qui ha vissuto l’esaltazione dell’anno scorso e giorni come quando le presero a calci la macchina. Pagate quest’altalena emotiva?
«Sì, la paghiamo. Dopo l’anno scorso la gente si aspettava che la squadra girasse, è venuta meno la fiducia, la piazza s’è innervosita. Poi qui basta poco, appena qualcosa va male tutto diventa una tragedia. E anche quando le cose vanno bene si scrive di altre vicende, come il nuovo stadio, anziché delle vittorie. Sentire sempre negatività intorno non ci aiuta. Qui puoi passare da essere tutto all’essere niente, e il chiacchiericcio mi dà fastidio perché poi la gente ci crede».
E la Lazio terza a un punto le dà fastidio?
«Quegli altri non esistono. Appena arrivai la prima cosa che Sabatini mi disse fu: in città tutto gira intorno alla Roma, su dieci persone otto sono romaniste. Voglio arrivare davanti a loro, così l’80% della gente sarà felice. Quando giochi nella Roma diventi davvero tifoso».
È così tifoso da aver rinnovato il contratto nonostante la corte di Barça, Psg e Bayern...
«Sapevo che mi cercavano, ma a Roma iniziavo a stare bene, e quando ami il posto dove sei, il club e i tifosi hai voglia di restare, anche se su di me si diceva di tutto. No, non sono pentito».
I tifosi sono gli stessi che vi hanno voluti sotto la curva, dopo Roma-Fiorentina, però.
«Quello mi dispiace, capisco che i tifosi siano delusi, arrabbiati, pensano che non diamo il massimo. Certo possiamo dare di più, come squadra, nei sacrifici. Spero che ce ne siamo resi conto».
Da Roma alla Bosnia: quanto pesa lo sport nell’integrazione del suo paese?
«Ci sono musulmani e ortodossi che stanno iniziando a convivere, a capirsi: e il calcio, il Mondiale, ha aiutato tanto. Ci sono serbi, croati, i bosgnacchi, ma quando gioca la Bosnia si uniscono e tifano tutti la nazionale».
In ritiro più poker o playstation?
«Poker. Ora ho iniziato a giocare a golf, ma è più difficile che tirare le punizioni».
A proposito, con Totti come ve le dividete?
«Decide lui. Se se la sente deve calciarle. E poi c’è una lista con chi deve tirare e da dove».
Insomma decide Garcia: il tecnico ha detto che se lei partisse lui s’incatenerebbe, lei farebbe lo stesso per lui?
«Non riesco a immaginare la Roma senza Garcia. Il mister, con Luis Enrique, è la persona che mi ha insegnato di più. Ha fatto bene alla squadra, ha portato nuova ambizione».
A volte lei ha detto che le piacerebbe giocare con Dzeko...
«È vero. Mi ha detto che la serie A gli piace. E che segue sempre la Roma. Mi piacerebbe che potesse venire».