IL FATTO QUOTIDIANO (V. PACELLI) - "Hanno distrutto il tentativo che facemmo di ridistribuire in maniera equa i soldi e i poteri del calcio italiano fa davvero male, oggi”. A parlare nei giorni scorsi dalle colonne di Repubblica era l’ex ministro dello sport Giovanna Melandri. La stessa che ha dato il nome alla legge del 2008 che istituì la Fondazione per la mutualità.
L'obiettivo era utilizzare il 4 per cento dei proventi dei diritti tv per finanziare anche i progetti di altri sport come il basket. Eppure quella Fondazione, la cui gestione è finita nel mirino della Procura partenopea, si sarebbe trasformata in brevissimo tempo nel classico feudo clientelare tipico di quei settori dove il potere si concentra nella mani di pochi. E di cui il calcio è un esempio. Un feudo inaccessibile, almeno per i non addetti ai lavori, ma che dovrà pur scoprire delle carte soprattutto davanti al Parlamento che ha chiesto chiarimenti. Le presunte irregolarità, denunciate da direttore generale dell’Ischia alla Procura di Napoli, sono in ogni caso tutte da riscontrare. Un altro capitolo riguarda i poteri esercitati all’interno della Fondazione. Emblematico è il cambio che c’è stato lo scorso 24 luglio scorso. Tra un passaggio e l’altro, quello che emerge è una continuità dovuta a quel potere che in pochi nel calcio sanno detenere come Claudio Lotito. Infatti ricostruendo i comportamenti della Lega A si capisce come il presidente della Lazio abbia imposto alcuni dei suoi uomini.
Nella prima tornata, nel consiglio di amministrazione della Fondazione, furono eletti dalla Lega, come propri rappresentati, il presidente del Parma Tommaso Ghirardi (oggi indagato per bancarotta fraudolenta), Gino Pozzo dell’Udinese e Massimo Mezzaroma, presidente del Siena in quegli anni in Serie A. A completare la squadra, come per una partita di calcetto, c’erano Maurizio Beretta, oggi presidente della Fondazione mutualità – ma anche numero uno della Lega Serie A e Vice Presidente Vicario della Figc – e lo stesso Lotito. Il 24 luglio scorso, l’assemblea di Lega cambia la squadra, ma non la sostanza: i fedelissimi di Lotito vengono sostituiti da altri fedelissimi. Lui resta, come pure Maurizio Beretta. Gino Pozzo viene promosso a consigliere federale Lega A e Ghirardi e Mezzaroma vengono sostituti da Setti, presidente del Verona e Giulini, a capo del Cagliari. Insomma anche se cambiano i nomi nella Fondazione, continuano a restare coloro che si possono ritenere vicini al presidente della Lazio. E anche questo è potere. Adesso però con l’evolversi di una serie di eventi non molto positivi per la Fondazione, in tanti stanno pensando di dimettersi.
Ieri il Fatto ha anticipato che tra questi potrebbe esserci il presidente della Juventus, Andrea Agnelli. Ma non sarebbe l’unico. Intanto resta il problema di dover spiegare una serie di progetti non proprio accessibili a tutti. Una gestione oscura di cui potrebbe essere chiamato a rendere conto – sempre in Parlamento – anche Giovanni Malagò per chiarire il ruolo del Coni, da lui presieduto, nel cda della Fondazione. Infatti anche alcuni dirigenti ritenuti a lui vicini hanno ricoperto in passato ruoli significativi in Fondazione. A partire da Franco Chimenti, che era in fondazione come vice presidente del Coni. Seguito dall’ex direttore generale di Coni servizi Spa (partecipata al 100 per cento dal ministero dell’Economia e delle Finanze) Michele Uva, ora passato alla Federazione nazionale giuoco calcio. E in ultimo, in ordine cronologico, e attualmente consigliere della Fondazione Carlo Mornati, in passato nella vice segreteria del Comitato olimpico nazionale.