IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) - Se i tifosi pretendono che la Roma non arrivi dietro alla Lazio, Jim Pallotta e il suo management non possono permettersi che la squadra non arrivi in zona Champions. Champions diretta, cioè secondo posto che significa tanti soldi nelle casse della società (49,2 milioni per l’edizione 2014-15). Che, con la proprietà Usa, ha sempre operato sul mercato all’insegna del vendo e poi compro. Un sistema gestionale comune a molti altri club, ma che a Trigoria, numeri alla mano, non ha portato granchè in termini di risultati.
Dall’estate del 2011 sono cambiati dirigenti (da Baldini a Fenucci passando per Winterling), allenatori (da Luis Enrique a Zeman fino a Andreazzoli, prima di Garcia) e tanti, tanti giocatori; sono stati movimenti per centinaia di milioni di euro (500,51 tra entrate e uscite, fonte transfermarkt.it), ma la Roma non ha vinto nulla. E adesso, dopo aver fallito in Champions, in Coppa Italia e pure in Europa League, e dopo aver abbandonato troppo presto la corsa per lo scudetto, alla Roma non resta che evitare di non entrare in zona Champions. Se il ds Walter Sabatini si assume tutte le responsabilità per aver toppato il mercato di gennaio, fa una bella figura, certo, ma le sue parole non cancellano la base del discorso, e cioè che sono stati commessi tanti, troppi errori. E che, per questo, la squadra ora non va e poi andrà rifatta. Lo stesso Sabatini, di fatto, l’ha certificato. Già, ma chi la rifarà? Sabatini - per mille motivi - sta pensando alle dimissioni, ma oggi la Roma è una società sabatinocentrica. Perché tutta la parte sportiva converge sulle sue spalle e ruota intorno a lui. Ecco perché ci si chiede: se va via lui, chi sceglierà il nuovo ds? Il presidente Pallotta no perché non li conosce. Il ceo Zanzi? Neppure a parlarne, per carità. Baldissoni? Non resta che lui, se resterà.
Intanto, cominciano a circolare nomi alternativi a quello di Sabatini, da Marco Branca (c’è lui in pole: è stato già contattato da un alto dirigente del club di Trigoria) a Sean Sogliano fino a Daniele Pradè, che ancora deve rinnovare con la Fiorentina. Ricordando anche che la proprietà Usa, che punta sempre e comunque al business, nei mesi passati ha già provveduto a “tagliare” chi non aveva portato, come da ruolo, soldi in società. Questo per dire che, al di là delle dimissioni, non sono da escludere, in caso di non raggiungimento degli obiettivi, anche licenziamenti. La sensazione che alla fine - se non sarà Champions diretta - qualcuno comunque pagherà è forte, anche se Pallotta non ha perso mai occasione per incensare sia Sabatini che Garcia: e, dunque, se non sarà il ds, sarà l’allenatore. Con un’indiscrezione: Mazzarri (ma c’è chi sussurra anche i noni di Emery, Bielsa e Di Francesco) accanto al confermato Sabatini in caso di cacciata di Garcia (che sarebbe invece saldissimo sulla panchina della Roma con Sabatini a casa e Branca al suo posto). Intanto, ieri un deluso Pallotta (che raccontano non proprio sereno...) ha chiesto chiarimenti a Baldissoni e Zanzi per il crollo contro la Fiorentina. Lunedì sarà a Roma Mark Pannes, ma per questioni di stadio.
OBBLIGO DI SVOLTA - Secondo posto vitale, intanto. Ecco perché la partita di domani a Cesena assume un’importanza sempre più fondamentale: dopo la partita dell’Orogel Stadium ci sarà la sosta per gli impegni delle Nazionali, prima della sfida dell’Olimpico, il 3 aprile, contro il Napoli. Vincere in Romagna significherebbe mantenere il secondo posto per due settimane, tirare il fiato e presentarsi davanti al Napoli, e di nuovo all’Olimpico, con un minimo di serenità in più. «Date un mese di tempo a ’sta ca... di squadra, e a Doumbia datene due», ha detto, a sorpresa, Sabatini, uscendo ieri mattina da Trigoria ad un gruppetto di tifosi («Chi vi deve risarcire?», la risposta in uno sguardo rivolto al Bernardini). Un mese non è poco, ma due significa arrivare addirittura alla fine del campionato. E la Roma non se lo può permettere. Anzi, non se lo poteva permettere, eppure così è stato.