LA REPUBBLICA (G. FOSCHINI / M. MENSURATI) - Nel lunghissimo elenco di incarichi nel calcio italiano (advisor, titolare di diritti di archivio, gestore di pubblicità negli stadi) Infront sembra aver puntato anche a un nuovo ruolo: risollevare società in crisi. Il business è florido in serie B dove negli ultimi mesi ha firmato contratti commerciali così importanti con due squadre, il Bari e il Brescia, che di fatto hanno impedito alle società di fallire o di finire in mani poco “sicure”.
I due casi sono diversi ma scorrono paralleli e sono interessanti proprio perché condividono alcuni aspetti e il metodo di intervento. Un primo punto di contatto con le due storie è il blasone: Bari e Brescia sono piazze importanti, molti tifosi, un buon numero di abbonamenti televisivi garantiti. Entrambe uscivano da una lunga presidenza, i Matarrese a Bari e Corioni al Brescia. Ed entrambe sembravano destinate a una fine ingloriosa. A Brescia le cose si sono risolte prima che portassero i libri in tribunale: la squadra l’ha comprata una società milanese, Profida Italia, di Rinaldo Sagramola, un passato recente da dirigente alla Sampdoria, con la benedizione dell’industriale Bonometti. Ma nella partita c’è anche Infront che da tempo, già ai tempi della presidenza Corioni, ha presentato un piano al Comune il nuovo stadio. «La nascita di un nuovo impianto a Brescia è molto importante e noi siamo interessati » ha detto ufficialmente nei giorni scorsi Infront Italy, spiegando che l’interesse era offrire al Brescia “know how” per riempire lo stadio. Non è un caso che i cinesi di Wanda, che hanno appena comprato Infront, abbiano tra i loro affari anche quello dell’impiantistica sportiva.
Ma nel caso di Brescia l’aiuto non è stato soltanto di “know how”, come dice il dg di Infront Italy, Giuseppe Ciocchetti. La società ha infatti firmato un importante contratto di sponsorizzazione per i prossimi sei anni, del valore di una decina di milioni di euro. Cioè, almeno due anni di sopravvivenza garantita per la squadra. Un po’ quello che è accaduto a Bari, dove l’ex arbitro Gianluca Paparesta ha rilevato il Bari all’asta proprio grazie ai soldi di Infront e Media Partners & Silva. Paparesta compra il Bari per 4,8 milioni e si presenta dal notaio Francesco Petrera con in mano le garanzie di Infront e MpSilva. «Prendo contatti con la Infront - aveva spiegato a Repubblica il presidente del Bari - e con Media Partners & Silva e propongo loro l’affare. A Infront mi impegno a vendere per i prossimi 5 anni una serie di diritti, come quelli di archivio, della produzione audiovisiva o i videogame. All’altro partner, invece, i diritti pubblicitari e la cessione di tutte le sponsorizzazioni nello stadio, riservandomi per me due sponsor fondamentali, sulla maglia e quello tecnico. Con le cessioni di questi diritti copro abbondantemente l’asta». Questo però, dice Paparesta, non significa che il Bari sia di Infront. Ma semplicemente che Infront ha siglato un accordo commerciale credendo nel suo progetto che può dare prospettive di sviluppo. Resta la domanda centrale: perché Infront lo fa? «Accordi commerciali» dice Paparesta. «Fanno affari».
Alcuni riecheggiano la famosa telefonata di Lotito con Iodice: «Tra tre anni se ci abbiamo Latina, Frosinone.. chi c... li compra i diritti?». «Con squadre come Brescia e Bari sarebbe diverso...» dicono. Ma esiste anche un secondo punto: fare firmare accordi commerciali così importanti per il futuro delle società ai presidenti significa in qualche modo anche vincolarli, per esempio nei voti in Lega. Come farà un presidente che ha un contratto con Infront a votare per esempio per una società concorrente a Infront?. È quello che ieri il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, nella sua intervista a Die Zeit, ha chiamato “conflitto di interessi”.