LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Partita finita. finita. Mentre la Curva Sud si produce in venti secondi di fischi assordanti, poco prima di imboccare le scalette Nainggolan viene quasi alle mani con un tifoso dei piani bassi della Monte Mario. Giusta conclusione, penosa abbastanza. Cambiare torneo non ha mutato approccio e sostanza. Ci si poteva aspettare uno scatto di nervi, una voglia nuova o il famoso “metro in più a testa”. Niente. La Roma rimane nella sua palude. A parte i supplementari di Coppa Italia con l’Empoli, non vince in casa da 80 giorni (Roma-Inter 4-2). I giallorossi durano venti minuti, poi si mettono lì ad aspettare che qualcuno gli metta paura. E lo trovano sempre. Nel secondo tempo la squadra di Garcia è stata travolta dalle proprie incapacità, dai limiti fisici, preda di un avversario più giovane, determinato, tonico. Nel secondo tempo i giallorossi non sono praticamente entrati in campo, come se la partita fosse già vinta.
Il demone che perseguita la Roma viene dall’interno, mina equilibri cruciali. È un male oscuro eppure palese, è una malattia che non t’impedisce di giocare, però ti costringe, nella migliore delle ipotesi, a giocare bene per pochissimo tempo e male per tutto il resto. Presidente, società, dirigenti, tecnici, giocatori, pubblico: se manca un senso del collettivo, se si perde di vista il traguardo da seguire tutti insieme, se la Roma è una via di mezzo tra la “media company” e la squadra di calcio, allora il campo riprodurrà gli effetti di questa sovrapposizione d’immagini e di progetti, di questa confusione fra cuore e impresa. Si chiama scollamento. Contro un Feyenoord dotato di un buon centrocampo la Roma ha giocato mezzora approfittando della pochezza dei centrali difensivi avversari. Attaccando in mezzo o pressando alta liberava le fasce dai cui scaturivano, soprattutto per merito di Verde e Torosidis, minacce costanti. La velocità d’esecuzione del bellissimo gol di tacco di Gervinho (22’ pt), frutto di una triangolazione Torosidis- Verde-Torosidis, ha rimandato all’eccellenza della scorsa stagione e ai primi minuti dell’andata contro il Cska. Ma è stato solo un flash: tanta luce per restare accecati.
Quando il macchinista ha messo su la pizza del solito film, la gente ha capito che movimenti del genere non se ne sarebbero più visti. Dopo il pareggio (Kazim-Richards al 10’ della ripresa, in fuorigioco), la Roma ha ripreso le sembianze abituali, ritrovando d’incanto, come se le fosse mancato, quel suo tipico sbandare, andare in controtempo, quel muoversi senza alcuna spinta elevatrice. Le sostituzioni non hanno funzionato. Il Feyenoord muoveva la palla, la Roma cercava soluzioni individuali, di rabbia. Molti sono spariti (anche Verde). Come contro il Parma, a inacidire la torta ci ha pensato Doumbia, entrato per Totti: davanti a due palloni preziosi ha reagito come se fosse sotto preanestesia. Un lusso. Ovviamente deluso Garcia: «Abbiamo avuto le occasioni per vincere questa partita ma abbiamo pure subito un gol in fuorigioco: è un momento in cui non succede nulla a nostro favore, ma non molliamo ». A Rotterdam, in uno stadio fatto per i giovani dove i giovani volano, per andare agli ottavi bisogna essere altro. Ma c’è altro?