IL MESSAGGERO (S. CARINA) - Da «pianista» a «stakanovista» il passo è breve. Miralem Pjanic si scopre tra i calciatori più utilizzati da Garcia in questo avvio di stagione. Anzi, se nella Roma è dietro solamente a Radja Nainggolan (713 minuti per il belga, divisi 533 in campionato e 180 in Champions), sommando gli impegni con le rispettive nazionali il bosniaco sorpassa l’ex Cagliari. Tabellini alla mano, Pjanic ha giocato (al netto dei recuperi) 444 minuti in campionato (6 gare), 180 in Champions (2 partite) e 315 con la nazionale (Liechtenstein, Cipro, Galles e Belgio). Il totale in giallorosso è di 624 minuti che lievita a 939 considerando le partite disputate con la Bosnia. Nainggolan invece ai 713 minuti da 'romanista', ne può aggiungere 207 con la maglia del Belgio (Australia, Andorra e Bosnia): totale 920. Seppur di poco (19 minuti) Pjanic è il calciatore che sinora ha giocato di più nella rosa giallorossa. Non una novità (lo scorso anno nelle prime 8 gare stagionali in serie A, 657 minuti), conoscendone il valore ma c’è da scommettere che se ne avesse avuto la possibilità, Garcia qualche pausa in più gliela avrebbe concessa. E invece il tecnico – almeno per Pjanic - lo ha potuto fare solamente in un paio di occasioni: a Empoli dove gli sono stati risparmiati gli ultimi 23 minuti e con il Cagliari, quando ha giocato gli ultimi 22 subentrando a Destro. Per Nainggolan ancora meno: appena 7 minuti con il Verona.
PROBLEMA INFORTUNI - Tutto (o quasi) è legato all’infermeria che nel momento in cui ha iniziato a riempirsi, ha limitato inevitabilmente anche il turnover. Il tecnico di Nemours era partito con le idee chiare: cinque cambi a Empoli, sei con il Cska, quattro con il Cagliari e cinque a Parma. Poi, con la loi de series che continuava a colpire, ha dovuto ridurli: tre con il Verona, altrettanti con il City e due con la Juventus. Minore rotazione nelle ultime tre gare e mai in mediana. Pjanic (e Nainggolan), dunque, anche quando avrebbe potuto rifiatare ha sempre giocato. Figuriamoci ora che si è fatto male Keita. Fortuna vuole che De Rossi sia oramai pronto al rientro.
QUESTIONE DI FEELING - Fatto sta che da quando è arrivato Garcia, il bosniaco fa tutto con il sorriso sulle labbra e nel ruolo nel quale si sente più a suo agio: «Il mio posto in campo è mezzala in un 4-3-3, in una mediana dove gestiamo la gara, abbiamo sempre il possesso, senza paura di tenere la palla. Questo è il mio gioco e lo attuo con calciatori straordinari che capiscono davvero molto di calcio». Così come l’allenatore: «Con lui siamo più forti tatticamente e equilibrati – spiega al sito Ultimo uomo.com - Ci battiamo l’uno per l’altro, questo è lo spirito che Garcia ha portato con sé». Diversa invece la considerazione su Zeman: «E’ un bravo allenatore. Lui però chiede di verticalizzare sempre. A me piace invece giocarla come la sento io. Ora sono più libero». Libertà che non è mitigata nemmeno dalla presenza in campo di Totti: «Tutti sognano di essere l’erede di Francesco ma non è facile. Totti è Totti, è qualcosa di più del solo calcio. Ha fatto la storia del calcio italiano, è una leggenda. È bellissimo il fatto che non abbia mai cambiato maglia». Esperienza che vorrebbe emulare: «Il calcio è cambiato e a volte sono le società ad aver bisogno di soldi, non è sempre il calciatore che va via. Io ne ho avuto l’opportunità. Però mi sento così bene che, mi chiedo, perché devo farlo se amo questa squadra, questa città e voglio vincere qui?» Parole da mettere nel cassetto con la speranza di non doverlo mai aprire.