LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Raccontano che martedì, nella notte di Manchester, mentre mille romanisti festeggiavano l’1-1 contro il City, qualcuno nella delegazione romanista covasse addirittura il rammarico di non aver raccolto i tre punti. Indicativo di cosa stia capitando dalle parti di Trigoria: a 495 giorni appena dal 26 maggio 2013, la coppa persa contro la Lazio e il punto più basso della gestione americana, il pari di Champions ha detto a tutti che l’Europa non fa più paura. Che la Roma ha raggiunto una dimensione diversa, finalmente internazionale, in grado di giocare alla pari persino con i campioni d’Inghilterra. «Fino a ieri pensavamo di essere forti, Manchester ci ha dato la consapevolezza di esserlo», il pensiero di più di qualcuno nello spogliatoio giallorosso dopo il match dell’Etihad. Una partita accolta con sorriso smerigliato soprattutto dal presidente Pallotta, spettatore orgoglioso in Inghilterra della prova di una Roma padrona del campo che non ha avuto paura di giocare il proprio calcio nella tana di un club capace di vincere due Premier negli ultimi tre anni.
La condizione mentale ideale, forse, per approcciare alla gara con la Juventus rivale nella corsa scudetto: perché se allo Stadium la Roma è sempre arrivata in cerca di un’impresa raccogliendo regolarmente magrissime figure, domenica si presenterà da pari a pari, grazie al passaporto da grande vidimato alla frontiera britannica. «La parola sconfitta dev’essere cancellata dalla nostra mente, la Roma può battere chiunque», garantisce Keita.
Semmai i problemi di Garcia sono altri, gli stessi che lo costringono da inizio stagione a scelte obbligate. La Roma che affronterà Tevez e soci somiglierà moltissimo a quella di Manchester: coppia centrale e trio di centrocampo non hanno alternative, Maicon e Cole si spartiranno le due fasce, Gervinho farà compagnia a Totti. Mentre dei tanti assenti - Castan, Astori, De Rossi, Strootman, Uçan e Borriello - nessuno farà all’allenatore il regalo di anticipare i tempi: solo De Sanctis spera di riprendersi la porta dopo averla lasciata al giovane Skorupski nell’inferno dell’Etihad.
L’unica vera novità nell’undici di partenza, allora, potrebbe essere Iturbe, che non gioca una gara dall’inizio dal match di metà settembre contro il Cska, quello del primo gol da romanista e dell’infortunio che lo ha tenuto fuori fino a martedì: in estate dopo essere stato a un passo dalla Juve saltò la barricata trasferendosi da Garcia. Che oggi punta su di lui per affermare anche a Torino la nouvelle vague della sua Roma.