IL TEMPO (A. AUSTINI) - Millecinquantadue giorni sono quasi tre anni. Ne è passato di tempo dall'ultimo gol di Daniele De Rossi all'Olimpico: era il 12 dicembre 2011, un Roma-Juventus 1-1 sbloccato dal centrocampista di Ostia prima del pari di Chiellini e di un rigore fallito da Totti. In panchina c'era Luis Enrique e i giallorossi, allora, non la vedevano neppure con il binocolo la vetta della classifica conquistata ieri. Nel frattempo sono cambiati tre allenatori, De Rossi è tornato se stesso, ma il gol continuava ad essere uno strano tabù: nello scorso campionato soltanto uno, fondamentale, alla prima giornata in casa del Livorno.
A 430 giorni da quella partita del «Picchi», che ha segnato l'inizio dell'era Garcia, Capitan Futuro ha riscoperto un'emozione provata solo in Nazionale negli ultimi tempi. Per giunta sotto la curva Sud: questo non gli capitava da ancora più giorni, ovvero dal settembre 2011 nel match perso contro il Cagliari. Una liberazione, insomma, che ha voluto condividere con il suo amico Nainggolan già pronto a sostituirlo a bordo campo, e poi ribadire davanti alle telecamere: «Fa sempre piacere segnare - ammette De Rossi - ma non è il mio compito principale. Chi sa di calcio sa se uno gioca a 20 metri dalla porta o a 60 come me, in quel caso cerchi di fare il meglio che puoi. Io da un anno e mezzo a questa parte sono molto contento del mio rendimento e sono stato benissimo in testa la classifica, sempre primo o secondo. Poi, quando le cose non vanno tanto bene e c'è bisogno di attaccare un po' il sottoscritto, si tira fuori anche il discorso che faccio pochi gol».
Dopo il suo raddoppio, all'Olimpico è come se fosse arrivata la terza rete della Roma: la notizia del vantaggio del Genoa ha esaltato lo stadio. «Quel gol - sottolinea il centrocampista - è stato più importante per noi del mio. Il campionato italiano è difficile come abbiamo visto noi sabato a Marassi e stavolta la Juve. Noi e loro siamo le squadre più forti e credo che ce la giocheremo fino in fondo». La serata è finita in festa ma è stata molto più sofferta del previsto. «Non abbiamo giocato bene e non siamo riusciti a stordire l'avversario come in altre partite. Ma l'importante era vincere perché sapevamo che la Juve si poteva fermare».
E ora un altro esame scudetto a Napoli, in una gara che preoccupa soprattutto per l'ambiente. «Sono mesi - dice De Rossi - che lanciamo messaggi distensivi. Spero sia una partita maschia, la rivalità tra le due città è aumentata dopo quel fatto (la morte di Esposito, ndr) ma noi non c’entriamo nulla. L'importante è che non ci siano scontri perché non ce ne sarebbe motivo».
Inspiegabile come la Roma non riesca mai a godersi fino in fondo le vittorie. Ieri in serie sono arrivati l'infortunio di Astori, il musone di Iturbe mentre tornava in panchina, i fischi a Cole e la frecciata di Destro, a segno per la quarta volta di seguito all'Olimpico. «Se sono deluso dal poco spazio? Sono valutazioni che spettano al mister, poi man mano anch'io ho una testa con cui ragiono e prenderò le mie di decisioni». Come a dire: se continuo a giocare poco, chiederò di andar via. Magari è per questo che alcuni, come Sabatini, lo hanno invitato a migliorare il carattere. «Non capisco - dice al riguardo Destro - io sono un tipo tranquillo, forse un po' istintivo. Le poche volte che vengo chiamato in causa devo fare gol altrimenti le cose si complicano. Un conto è iniziare le partite, un conto è entrare dalla panchina». Parole che faranno molto rumore. Decisamente meno quelle di Skorupski, premiato ieri sera da Rudi Garcia: «È stato importante per me - dice il portiere - e vorrei giocare sempre di più». Chissa cosa ne pensa De Sanctis.