GASPORT (D. STOPPINI) - «Eh, lo so cosa vuol sapere, se Peppe mi ha invitato pure stavolta. Certo che sì, mi è arrivato un messaggio per andare all’Olimpico». Peppe è Guardiola alla romana, ovviamente, 5 anni dopo quella telefonata del 2009 a Carlo Mazzone, per chiamarlo accanto a sé nella serata più importante, la finale di Champions League. «Ma stavolta no, non vado — dice Mazzone —. Ho avuto la tentazione, invece mando la famiglia, mia figlia, mio genero, mio nipote».
Perché?
«Perché comunque vada per me sarebbe una serata di gioie e dolori. Sì, c’è Guardiola, un Uomo con la U maiuscola: onesto, sincero, leale, professionista esemplare. Sono felice quando lo vedo vincere un trofeo. Il problema è che stavolta non posso proprio fare il tifo per lui. Peppe lo sa, sarei in difficoltà, la sua strada coincide con quella della Roma, la mia storia e la mia casa ».
E pure suo figlio: Totti recentemente l’ha definita «un secondo padre».
«Vede, Francesco avrebbe potuto usare mille altre parole. Avrebbe potuto definirmi un maestro, un tecnico decisivo per la sua carriera. E invece ha preferito toccare gli affetti, quanto di più prezioso ci sia nella vita. Ma guardi, è proprio così: tra di noi c’è un legame troppo intenso, che si allarga alle nostre famiglie. Con i suoi genitori stringemmo un’alleanza, quando Francesco era un ragazzino. Capimmo che tra le mani avevamo un campione che andava “solo” seguito nella maniera corretta, nell’alimentazione, nei rientri serali. Io sono ancora oggi il suo primo tifoso. E vedo che la Roma continua ad appoggiarsi alle sue giocate».
Guardiola l’ha definita pubblicamente «il suo maestro». Ci dica una caratteristica, una sola, che lo spagnolo le ha rubato.
«La scelta dei giocatori di qualità, preferisco questo piuttosto che un aspetto legato al campo. Chi dice che Guardiola vince solo perché ha a disposizione grandi giocatori, sbaglia di grosso, nella migliore delle ipotesi sta solo minimizzando. Chi li ha scelti quei giocatori? Vede, i tecnici si dividono in due categorie: chi predilige l’aspetto tecnico, chi quello fisico. Se uno si fa comprare due colossi, diventa dura far credere di voler giocare palla a terra, no? Ecco, io e Peppe amiamo i giocatori tecnici. E le nostre squadre in campo hanno sempre fatto del possesso palla il cuore del loro gioco».
Fu così anche a Brescia, con lei allenatore e Pep giocatore.
«Ricordo che dopo il primo anno andò via, passò alla Roma, ma non si trovò bene. Io faticavo a capirne i motivi. Lui un giorno mi telefonò. Mi disse: “O mi riprende lei a Brescia, o lascio l’Italia”. L’ho ripreso, mi pare sia andata bene ».
Chi la decide Roma-Bayern?
«È una partita aperta, perché anche Garcia rientra nella categoria dei tecnici che amano la qualità. Vincerà chi troverà la giornata magica di uno dei tanti campioni in campo. Come allenatore, piuttosto, sono curioso di capire chi comanderà il gioco, chi prenderà per mano la partita. Su una cosa potrei scommettere: sarà un match spettacolare». Ma non è che ci ripensa e accetta l’invito? «No no, me la guardo a casa. Mi dia retta: è meglio così».