GASPORT (D. STOPPINI) - È riuscito in questa impresa, Mehdi Benatia: stupire ancora una volta. Stupire a Fenway Park, in un’amichevole che aveva valore solo per Pallotta e i suoi amici di Boston, sindaco compreso. Guai a fare brutta figura. Ecco: Benatia c’è riuscito. Anzi, ha ricominciato da dove aveva terminato la scorsa stagione. Come se nulla fosse successo, se un’offerta «ridicola» sul rinnovo non fosse mai arrivata e se il City non fosse mai esistito. Come se... giocasse in una squadra che ha chiuso la scorsa stagione con la seconda miglior difesa, dopo essere stata a lungo la prima.
Migliore Eccolo, Benatia. In Italia sarebbe stato premiato con la statuetta del migliore in campo, dopo la partita con il Liverpool. Ma quaggiù sono americani, il campo aveva una strana forma a diamante come a Fenway Park preferissero davvero godersi un altro sport, magari il baseball dei loro Red Sox. No, Fenway stavolta serviva per il calcio. Servivano due porte, difese fino alla fine. Perché, per dirla alla Garcia, «quando le gambe non girano è bene usare la testa. Con il Liverpool mi è piaciuto l’atteggiamento difensivo». E là dietro il padrone l’ha fatto Benatia, che si è cominciato ad allenarsi a Trigoria una settimana prima dei compagni e anche in Marocco era stato raggiunto da un preparatore della Roma. I soliti anticipi, le solite chiusure, un atteggiamento positivo. Magari qualche sorriso in meno del solito. Ma la faccia e la testa del leader, quella sì. Come quando ha ripreso Nainggolan per un passaggio sbagliato in uscita che ha esposto la squadra a un contropiede (poi chiuso da Benatia, manco a dirlo...). Romagnoli e Astori Chissà, magari ha contribuito anche il colloquio rassicurante con Pallotta o l’aria da grande stagione che si respira intorno alla Roma. Magari tutto questo ha tranquillizzato Benatia. Di sicuro a Castan sarà sembrato piacevole ritrovarselo vicino. E i più giovani, in panchina, avranno preso appunti. A cominciare da Romagnoli, in campo con la nuova maglia, la numero 11. Magari avrà preso appunti pure Astori, davanti alla tv. Perché, come dice Garcia, «un centrale serve ancora». Presto sarà lì con lui, negli Usa.