La Serie A riflette su Tavecchio. E sul programma

02/07/2014 alle 09:48.
abete-tavecchio

GASPORT (M. IARIA) - Nella lunga volata che si concluderà l’11 agosto con l’elezione del presidente federale, c’è un paradosso tutto italiano. La Serie A è il motore economico del calcio tricolore, è l’epicentro di pregi e difetti del movimento, è lo show pallonaro che entra in ogni casa, eppure pesa solamente per il 12% nello scacchiere delle forze in campo. Aggiungeteci pure che per dna è vittima di pulsioni egoistiche, fatica a fare sintesi e negli ultimi anni, in tutt’altre faccende affaccendata, ha mancato di esercitare la leadership in un auspicato (quanto incompiuto) processo riformatore. Ne vien fuori il seguente quadro: una candidatura unitaria col timbro della Lega di A, che metta d’accordo tutti, appare utopistica, a meno che una di quelle società che non accetta lo status quo tiri fuori dal cilindro un nome forte, fortissimo.

Numeri Alla fine si potrebbe procedere quasi per inerzia e appoggiare il candidato che proviene dai Dilettanti, Carlo Tavecchio, come vogliono Claudio Lotito (destinato alla vice presidenza), Adriano Galliani (ma con Barbara Berlusconi il Milan si è espresso pubblicamente a favore dei quarantenni) e il fronte delle medio- piccole saldatosi negli ultimi tempi. Chi spinge per un volto nuovo evita di sbilanciarsi ora, lavora semmai sotto traccia, cerca di capire se è possibile coagulare un consenso forte attorno a un’alternativa. Impresa per nulla facile, perché Tavecchio parte dal 34% dei Dilettanti (in attesa dell’investitura di martedì) e ha già le mani su una buona fetta del 17% della Lega Pro. Un competitor credibile, innanzitutto, non può non mettere assieme tutte le componenti tecniche (30% calciatori-allenatori più 2% arbitri), la B (5%) e appunto la A (12%), sperando di pescare voti nel bacino Pro.

Posizionamenti Certo, se si vanno a rileggere certi discorsi, certe lettere agli azionisti di Andrea Agnelli, l’orientamento della sembra chiaro: le dimissioni inaspettate di Abete, al culmine di una crisi di risultati e di sistema del calcio italiano, sarebbero l’occasione perfetta per una rivoluzione. Come i bianconeri la pensano la Roma, la , forse il . Cioè quelle big che negli ultimi anni, su più livelli, hanno condotto battaglie tese al cambiamento. Mentre l’Inter resta guardinga, la maggioranza della A pende, al momento, dall’altra parte. È lo zoccolo duro di 12-13 società dell’asse Lotito-Galliani. Il presidente della Lazio ha intensificato il suo peso specifico in Lega. Nelle assemblee - basti pensare alla maratona sui diritti tv - recita da protagonista conducendo i lavori tra una citazione normativa e una battuta dissacrante. E poi è presente in ogni scena madre: dal ruolo di paciere in un alterco tra Cairo e a quello di «consulente » nello sblocco del paracadute del , vitale per l’iscrizione alla B.

Realismo Di recente, Andrea Agnelli si è tolto di dosso i panni del Don Chisciotte adottando la realpolitik: d’altronde, con l’azione delle «sette sorelle » un obiettivo - rimettere in discussione il processo decisionale sui diritti tv per incrementare i ricavi - l’ha centrato. Ecco quindi l’accordo con Lotito sulla Supercoppa, la non belligeranza sull’asta televisiva. Se la ricerca di un candidato alternativo non andrà a buon fine, può darsi che la Serie A si compatterà attorno a Tavecchio «negoziando» sul programma. Che poi è ciò che più conta. La Lega vuol mettere sul tavolo le seconde squadre, le rose ristrette, il format a 18. Certo, sarebbe meglio adottare un percorso lineare, come auspica il presidente del Parma Tommaso Ghirardi: «Gradirei che ci fosse un incontro in Lega con tutti i presidenti in modo che si mettano a confronto candidature e programmi e, alla fine, si esprima una posizione unitaria ». Un’assemblea si terrà nella seconda metà di luglio, ma rischia di arrivare a giochi già fatti.