IL ROMANISTA (V. META) - Quattro gol (mai nessuno c’era riuscito, evidentemente ci voleva l’ultima in classifica), una figuraccia sul campo maledetto di Catania e che regala alla Juve lo scudetto prima ancora di giocare. Difficile immaginare una domenica peggiore, ancora più difficile spiegarsi come e soprattutto perché una squadra come la Roma di quest’anno abbia potuto rendersi protagonista di una giornata così. Male in difesa e in attacco, male nell’atteggiamento (ed è la prima volta), male - ed è l’aspetto più preoccupante - nell’improvviso calo di tensione che la riporta indietro di un anno almeno: il gol di Totti prima dell’intervallo accorcia le distanze dopo la doppietta di Izco, ma senza riaprire una partita che senza due parate di De Sanctis nel finale non sarebbe finita 4-1. È mancato il carattere, sono mancate attenzione e precisione indifesa, è mancato il centrocampo (Nainggolan squalificato, De Rossi poco lucido, Pjanic non pervenuto). È mancata innanzitutto la bellezza.
Ci fosse stata, forse in si sarebbe salvato qualcosa anche in una giornata così. E allora quello che racconta meglio la domenica che non ti aspetti è una cosa che fa Gervinho alla mezz’ora della ripresa: cinquanta metri di corsa e tre avversari saltati strada facendo, una cosa usuale per lui, solo che poi quando entra in area è come se tanta bellezza lo facesse inciampare e finisce per fermarsi da solo a pochi passi dalla porta. Le premesse non erano il massimo. «Io non ci credo più», aveva ammesso Rudi Garcia per la prima volta dall’inizio della stagione. Poi il campo: Toloi resta a casa per infortunio, Benatia torna ma non ha novanta minuti nelle gambe (entrerà nella ripresa e sarà l’unico spiraglio di sole), Castan non sta bene però stringe i denti, vicino a lui c’è Romagnoli alla prima stagionale al centro della difesa, e pazienza se sono due mancini. Il Catania ha un piede in Serie B ma non ancora tutti e due, da Udine arrivano notizie del naufragio del Livorno, il Bologna a Genova non si sblocca e allora stai a vedere che è il giorno che ti riesce il colpaccio contro lo squadrone dopo un anno di figuracce? Stai a vedere che è proprio così. Al Massimino comincia meglio la Roma, che pur senza strafare («la palla gira troppo piano» urla Garcia dalla panchina) in una ventina di minuti si fa vedere dalle parti di Frison con Totti e Florenzi, il colpo di testa del primo è alto, sul diagonale del secondo è attendo il portiere. Al 25’ Dodò fa bene una diagonale difensiva ma mette il pallone sui piedi di Bergessio, De Sanctis ci mette una pezza. È la prova generale del gol, che infatti arriva un minuto più tardi: contropiede iniziato da Izco, rifinito da Leto e concluso dallo stesso Izco, con De Sanctis leggermente fuori posizione. Passano dieci minuti e un’azione fotocopia (stavolta la sponda è di Leto) rimette Izco davanti alla porta, altro sinistro e 2-0.
Va bene, adesso si sveglia la Roma e le cose tornano a posto. Sembra proprio così quando De Rossi pesca Florenzi sul filo del fuorigioco (o forse anche un filo al di là), sponda al centro per Totti che lascia rimbalzare la palla e la butta destro con il destro. Garcia butta dentro Gervinho per Taddei e passa al 4-2-3-1 (a fare il trequartista ci va Ljajic) e proprio l’ivoriano sbaglia un gol quasi fatto allo scadere, calciando addosso a Frison su invito di Totti. Va bene, adesso si ricomincia e la Roma completa la rimonta. E invece vuoi vedere che il colpo riesce? Riesce, e con i tempi giusti: minuto numero dieci e Bergessio viene lasciato libero di ribattere in rete il tiro di Leto ribattuto da De Sanctis, minuto numero trentaquattro e Barrientos cala il poker con un sinistro da fuori che tutta la Roma sta a guardare. Potrebbe finire ancora peggio, se De Sanctis non intervenisse per due volte su Bergessio a ridosso del 90’. Domenica prossima la Juve verrà all’Olimpico con in tasca lo scudetto e per vincerlo non ha nemmeno dovuto giocare. No, una giornata peggiore proprio non si poteva immaginare.