LA REPUBBLICA (C. BONINI/M. E. VINCENZI) - «Che è successo pe’ davero ar chiosco? Se fanno tutti i cazzi loro. E poi è ‘na vita che Gastone nun se vedeva in curva. Che te devo di’? Forse se la sentiva calla. Magari era pippato. Forse s’è fatto gira’ er culo lì per lì. Lui e quelli che stavano co’ lui. ‘Na cosa è certa. Se volevamo fa’ ‘na tarantella co’ quelle merde, nun la organizzavamo così». Il ragazzo della Sud è un tipo svelto. Conosce la curva del tifo giallorosso meglio di casa sua. Accredita e dunque conferma l’ipotesi che sabato pomeriggio, in viale di Tor di Quinto, la festa ai napoletani ha molto a che vedere con il “calcio”, con l’odio delle curve.
Epperò, che nella “premeditazione” non c’è stato “metodo”. Meglio, che la faccenda riguarda “solo” Daniele De Santis e almeno tre compari che erano con lui, che con lui hanno verosimilmente progettato l’agguato (perché di questo si è trattato) e che la Digos cerca da domenica mattina. Del resto, le informazioni del ragazzino collimano come un calco con la ricostruzione — documentata in un’informativa della Digos alla Procura di Roma — della scena del tentato triplice omicidio di cui De Santis “Gastone” è accusato e per il quale è piantonato in una stanza del Policlinico Gemelli. Per una verità che all’osso suona così: sabato pomeriggio, “Gastone” voleva uccidere e non ha dunque sparato per difendersi. I napoletani verso cui ha fatto fuoco sono stati attirati in una trappola. Innescata da un lancio di fumogeni e chiusa da quattro colpi esplosi in sequenza da una Beretta 7.65 dalla matricola abrasa. Impugnata da “Gastone”, come ha confermato ieri sera la prova dello “stub” sulla sua mano. E ancora: i napoletani, dopo quei colpi di pistola, hanno impugnato spranghe e manganelli per uccidere. Altro che “rissa”. Sabato, qualcuno non doveva più rialzarsi.
La sequenza, dunque. In viale di Tor di Quinto, al passaggio della colonna dei pullman che portano i tifosi del Napoli verso Ponte Milvio e gli ingressi della Curva Nord dell’Olimpico, dal budello di asfalto su cui affaccia il “Trifoglio”, il “circolo” frequentato da neonazi e da frange di destra della curva romanista e il cui bar è gestito da “Gastone”, partono due fumogeni e forse un petardo in direzione del convoglio. I pullman sfilano mentre alcune delle macchine che “scortano” quel corteo, si fermano. Ne scende un gruppo di tifosi (tra loro, Ciro Esposito), che vedono distintamente “Gastone” e almeno tre uomini accanto a lui con dei caschi integrali. Abbozzano un inseguimento, che viene spento da quattro colpi di 7.65. Rimangono a terra in tre, fulminati come birilli. Ed è a questo punto che sangue chiama sangue. Le fila dei napoletani si gonfiano di una ventina di incappucciati armati di spranghe e manganelli azzurri. “Gastone”, che pure ha il fisico di un orco, viene raggiunto nel vicolo e sopraffatto. Prima lo colpiscono ripetutamente alla testa fracassandogli le ossa craniche. Poi passano alle gambe. La destra viene praticamente maciullata, fin quasi a produrre il distacco del piede dalla tibia. I tre che sono con lui, lo abbandonano terrorizzati. Forse lo credono morto. Forse capiscono che restare significa fare la sua fine. Racconta ora la signora Franca, madre di De Santis, che suo figlio, «prima della partita» (quando non è dato sapere), si fosse messo in mezzo a una discussione tra ultras della Roma e del Napoli. Che ne fosse nata una lite e un annuncio di vendetta. Che, insomma, sabato pomeriggio, i napoletani fossero andati a cercarlo. Dunque, che per questo fosse armato. Che la circostanza sia vera o meno, sarà l’indagine ad accertarlo. Certo, “Gastone” ha aspettato e cercato il confronto. E lo ha fatto in modo sconsiderato, anche nella logica belluina della curva. Anche a voler dare credito alla voce che, nei giorni precedenti la partita, voleva romanisti e laziali pronti al confronto con i napoletani. Ma che, nel lavoro di prevenzione della Digos non aveva trovato riscontri. Perché — così volevano le informazioni soffiate agli sbirri — colpire i napoletani sabato avrebbe esposto i romanisti in trasferta a Catania domenica a una vendetta inimmaginabile (non è un caso che in Sicilia, dopo i fatti dell’Olimpico, non abbia messo piede un solo tifoso giallorosso). È un fatto che il lavoro sul tentato triplice omicidio di sabato è solo all’inizio. Il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il sostituto Antonino Di Maio cercheranno di dare risposta a una serie di domande. Che hanno certamente a che fare con “Gastone”, con la premeditazione dell’agguato e le sue complicità. Ma che hanno anche molto a che vedere con quanto accaduto nella mezz’ora che ha preceduto la partita. I due pubblici ministeri, da ieri, valutano infatti anche la posizione di Genny ‘a carogna. E non tanto per il Daspo che lo raggiungerà nelle prossime ore, ma perché il reato di cui potrebbe essere accusato chiamerebbe in causa il ruolo di chi ha gestito l’ordine pubblico. Genny — come riferisce una qualificata fonte inquirente — potrebbe infatti essere iscritto per violenza privata e interruzione di pubblico servizio. Due accuse sostenute dalle immagini televisive andate in diretta e che riaprirebbero la questione intorno alla quale si è stretta la discussione sulla scelta fatta da prefetto e questore di far disputare la partita. La violenza privata presuppone infatti un carnefice (Genny) e una vittima (lo Stato). Presuppone una trattativa in cui il più debole (lo Stato) china il capo davanti al più forte (Genny).