IL ROMANISTA (T. CAGNUCCI) - Django Maicon Douglas ha vinto una Coppa del Mondo per club, una Champions League, quattro Scudetti, tre Supercoppe italiane, due Coppe Italia, un campionato brasiliano, tre volte il campionato Mineiro, due Confederations Cup, due Coppe America, un’infinità di premi individuali, sogna con tutto se stesso e con tutto il Brasile di vincere il prossimo Mondiale, però forse non ha mai esultato come ieri per un gol della Roma al Sassuolo al 94’. Non decisivo. Siam sempre qua, al solito punto, a Roma- Torino 2-1, alla corsa di Florenzi, alla danza "zompettante" di Garcia, agli abbracci d’abbracciarseli di Castan e Toloi, ai tifosi della Roma, alla Roma. Siamo sempre qua, siam quelli là, quelli fra campo e tribuna, fra palco e realtà. Non nomi e cognomi, ma i protagonisti di un sentimento.
Apposta la foto della copertina può andare anche a chi è rimasto in panchina; apposta il secondo gol lo hanno confezionato, impacchettato e spedito sotto la Curva tre giocatori (Taddei, Totti e Bastos) che poco prima stavano seduti in panchina a tifare insieme a Django; apposta i due gol la Roma li ha fatti sbavando, mordendo i polpacci, scivolando, pressando, rubando palla: è la Roma che vuole superare se stessa. Ogni volta, se possibile su ogni pallone in questo campionato da settanta punti e settanta roba, che l’anno scorso eri primo, e l’anno prima anche, e quest’anno pure se i fischi fossero stati giusti (e la pantomima di queste ultime giornate con mezze situazioni ad alludere che pure il Potere può venire penalizzato sono proprio il rumore del fischio sbagliato): è la Roma che vuol superare se stessa apposta a un certo punto ieri s’è fermata. Credo che sia qualcosa che abbia a che fare con l’inconscio e con l’impossibilità di rinunciare a sognare.
Troppo bella e facile e bianca e solare (che colori da Veronese il quadro alla fine sotto la Curva) e poi addirittura a un certo punto quasi impacciata. Sembrava bastasse l’1-0 ma non bastava. Era come se la Roma cercasse di mantenerlo quell’1-0 col Sassuolo non tanto per i tre punti di ieri, di oggi, di stamattina, ma quasi - appunto - come a fare la prova con se stessa: che stavolta l’1-0 col Sassuolo bastava, che l’1-0 col Sassuolo doveva bastare, poteva bastare, che non poteva ricapitare che al 94’... Era come se difendendo questo 1-0 la Roma si prendesse cura di quello dell’andata finito male, malissimo al 94’. Era come se si prendesse cura di tutto quello che di buono questa squadra ha fatto e come se cercasse di rimediare a un errore che è sempre da perdonare quando giochi e vivi la Roma così. Perché non può che essere inconscio o magia che da questo stadio di trance più che di proprietà la Roma ne sia uscita fuori al 94’, proprio al 94’. Nel minuto in cui Berardi pareggiava all’andata l’1-0 della Roma col Sassuolo. Forse per questo Django Maicon ha urlato così forte in quel momento. Uno strillo fra andata e ritorno, in una partita giocata su un ponte senza sapere per cosa sperare la sera e cosa sognare questa mattina, in una partita giocata veramente e non per dire fra la via Emilia e il West.
La Roma è per davvero una canzone. La Roma è per davvero il risultato migliore di una poesia. La via Emilia, che è il Sassuolo, una partita all’ora di pranzo, sapori da Diamante di Zucchero, roba profondamente italiana, pranzo domenicale, due pastarelle in famiglia e pennichella da divano con Domenica In; dall’altra parte il West, l’America, gli States, i brands, i marchi, i progressi, i grattacieli, lo stadio del futuro in questa prima partita giocata dopo la presentazione dello stadio nel primo stadio di proprietà d’Italia. Due mondi legati non da una Lega che continua a essere una vergogna ma da una squadra che continua a innamorare, sospesa a fare i conti con se stessa perché tanto non c’è niente di più alto da superare, perché tanto non torneranno mai visto che la matematica non sarà mai il mio e il nostro mestiere. Ma se l’amore è amore...