GASPORT (A. GRANDESSO) - Per Francesco Totti è "l’allenatore del futuro". Di certo è l’uomo del momento che ha ridato anima e dignità alla Roma. Rudi Garcia il 20 febbraio compie 50 anni. E fa un primo bilancio con un’autobiografia, edita in Francia da Hugo&Cie, che la Gazzetta scopre in anteprima. Titolo: «Tutte le strade portano a Roma». Le strade sono quelle che il francese ripercorre in prima persona, da allenatore che «si è costruito da solo con sudore e cuore». Sempre fedele «ai suoi valori e principi». E ai suoi rituali, come quello di chiamare la mamma prima di ogni partita. Tensioni Si comincia dalla fine, l’inizio della storia in giallorosso. Dal colloquio a Milano, con Walter Sabatini, il 3 giugno. Tutto in salita al Grand Visconti Palace: «Non sarà lei a firmare». Parte così il direttore sportivo, «persona franca, diretta», quasi personaggio romantico, «sotto pressione », ma di fiuto, che ribalta la scaletta per vedere Garcia prima di Laurent Blanc, poi bocciato. Tra i due c’è feeling, nonostante qualche tensione. Come quando Garcia alza la voce per imporre i suoi vice Frederic Bompard e Claude Fichaux: «Ma mi disse che mi voleva così, un vero capo». Alla prima conferenza stampa a Roma, Garcia era ancora senza contratto: «Lentezza amministrativa non da grande club». L’ufficialità arriva solo quando il tecnico minaccia di lasciare la trattativa, dopo essere già stato presentato ai media.
Il contratto L’accordo informale era però stato suggellato a New York, con James Pallotta, dopo l’incontro alla Raptor, raggiunta «come nei film di spionaggio» sfuggendo ai paparazzi per i corridoi del vicino Apple Store. Garcia scopre un presidente «sorridente, affabile, caloroso, paterno». E supera l’esame. Pallotta: «Volevo qualcuno senza passato in Italia per qualcosa di unico, diverso. Sarai l’Alex Ferguson della Roma». In auto, verso il ristorante, la stretta di mano su «un contratto di due anni, rinnovabile per altri due». In regalo arrivano due bottiglie di vino pregiato, Romanée-Conti, dalla cantina di Pallotta, durante la tournée estiva.
A cena Quando si lavora sul mercato. Garcia è chiaro: «Nessun acquisto senza il mio accordo». C’è già Benatia. Ecco De Sanctis e Maicon e Strootman che prima di firmare chiede informazioni tattiche. Poi il nodo Pjanic-Lamela: «Sabatini ci teneva all’argentino, ma mi lasciò la scelta finale». Cioè di tenere Pjanic, più consono al progetto, ormai «prossimo al rinnovo». La Roma di Garcia nasce però alla fine del ritiro a Riscone, con la cena organizzata da Totti in un rifugio, con l’amico chef Marco a cui l’allenatore confessa: «Stasera siamo una squadra». L’impatto con la realtà italiana però è deludente, non solo per la vetustà del Picchi di Livorno, «senza tabellone», ma pure per le strutture di Trigoria, «vecchie, superate». Garcia cambia tutto. La sala riunioni diventa ufficio dei vice, quella da pranzo, sala video. Poi tv in palestra per visionare partite degli avversari, muri ridipinti e i nomi dei giocatori su borracce e armadietti del «rustico» spogliatoio. Dove scopre lo spazio di Totti, «aperto, pieno di foto, libri, regali ». Un santuario.
Sms Totti Il museo del «re di Roma» è invece l’ufficio di Vito Scala, preparatore personale del capitano, pieno di «maglie di grandi giocatori, disegni di bambini, gadget, poster su Totti». Inevitabile che il primo sms Garcia lo invii al fuoriclasse: «Buongiorno Francesco, come sapete sono il nuovo allenatore della Roma. Parlerò con ognuno di voi al vostro ritorno. Lavoreremo duro per giocare bene e insieme vincere dei titoli. Forza Roma!». Totti risponde (ma dopo Florenzi): «Io sono in vacanza in America ho saputo la notizia tramite Internet... Intanto le do il benvenuto a Roma sperando di ottenere risultati e vittorie insieme... A presto!». È l’inizio dell’idillio con un giocatore «della tempra di Platini o Maradona», a cui Garcia chiede subito se abbia «ancora fame». «Se non l’avessi – risponde Totti – non sarei qui». La Roma spicca subito il volo, alla faccia di Maurizio Gasparri «che si è sentito in diritto di chiedere se fossi quel Garcia che va a caccia di Zorro». A Livorno arriva il gol simbolico del ritrovato De Rossi, poi la rivincita del derby, il record «pazzesco» di vittorie. Ma Garcia, sopravvissuto a un colpo di forbice di uno squilibrato alla schiena uscendo da un cinema quando giocava a Lilla, non si accontenta, ama sfide e rischio. Come quando da giovane scoprì il piacere di giocare nei casinò. A Deauville vinse 16mila euro alle slot-machine, con gli amici di sempre con cui passava serate suonando la chitarra e rispolverando sketch delle recite di teatro in famiglia. Da piccolo, Garcia sognava di fare il veterinario, ma viveva solo di sport. Tanto judo e atletica. Ogni spazio verde era campo di gara, da catalogare in un archivio personale. Ma è stato il virus del calcio a contagiarlo, trasmesso dal papà, responsabile sportivo di Corbeil, allenatore della squadra locale. Il primo ricordo legato al pallone non è «né un gol o una partita, un giocatore o un’azione, né uno stadio o una squadra, ma un odore». Quello della canfora che si usava per scaldare i muscoli. Una pozione magica, «come quella di Obelix».
La mamma Lo respirò a 8 anni e quel profumo Garcia se lo porta ancora dentro, anche a Roma, per poter «vincere titoli e per primo lo scudetto. Anche se non è programmato per subito, non ci tiriamo indietro. Stordiremo gli avversari con il turbine dei nostri sogni». Aspettando «con impazienza l’11 maggio e la sfida con la Juventus, sperando sia decisiva per entrambi». È la determinazione di sempre, coltivata da piccolo, obbligando la sorella Sandrine a partite nei corridoi di casa, coprendola se poi usciva di nascosto con gli amici. O con il subbuteo, rifacendo le partite del suo St. Etienne. Un giorno lo inchiodò sul tavolo da pranzo, facendo arrabbiare mamma Raymonde. Che Garcia, prima di parlare con il suo assistente dai tempi di Corbeil che analizza gli avversari, chiama poco prima di ogni gara, per rassicurarsi, sentendosi dire puntualmente: «Ho acceso una candela, ti porterà fortuna».