IL TEMPO (G. GIUBILO) - Non era obbligato a dar fondo alla sua sapienza calcistica, Rudi Garcia, per stabilire che sarebbe stato sbagliato etichettare come rivincita questo secondo appuntamento stagionale tra Roma e Juventus. Non sarà questo quarto di finale della Coppa Italia a modificare, o confermare, una scala di valori
Nel trofeo assegnato da questa seconda competizione nazionale, che i colpi di genio della Lega hanno ridotto a una dimensione avvilente, ci sarà almeno un obiettivo comune, la stella simbolo del decimo successo, in palio tra due squadre ferme a quota nove. Sempre che a quelle stelle, esibite anche in campionato, si voglia dare un significato particolare, visto che si tratta di una moda seguita soltanto in Italia.
Se non altro, a movimentare la vigilia ci ha pensato la grottesca vicenda dello scambio tra Vucinic e Guarin, con relative retromarce e altissimo livello mediatico. Dunque né rivincita né tanto meno guerra di nervi, come una parte dei comunicatori romani aveva ventilato, anche perché da questo tipo di sfide la Roma è quasi puntualmente uscita con le ossa rotte.
Ben altro spessore vantano i riferimenti al passato, relativi ai confronti romani tra le due squadre, in campionato o in Coppa, una rivalità che aveva segnato gli Anni Ottanta e che pare possa riproporsi, anche se per ora le cifre negano la parità di diritti . Equilibrio nel bilancio all'Olimpico, sei incroci con due vittorie per parte e due pareggi, l'ultimo riscontro favorevole alla Roma di Spalletti: pur sconfitta per uno a zero passò il turno grazie al 3-2 di Torino nella gara di andata. In Coppa le due squadre si sono incrociate 9 volte in tutto, 5 le promozioni bianconere e 4 quelle giallorosse.
Chiaro come i confronti più significativi debbano essere riferiti soprattutto al campionato. Immagini che restano nella memoria dei tifosi romanisti, come quel quattro a zero alla Juventus, con il rosso a Montero e la conta sulla punta delle dita da parte di Totti. Ma anche una sconfitta amara può conoscere un lieto fine, una partita di andata che i giallorossi avevano governato con autorità ma, in vantaggio con Falcao, videro il proprio primato rimesso in gioco dalla rete di Brio e dalla punizione di Platini, ma alla fine lo scudetto sarebbe finito sulle maglie giallorosse. Negli anni della Rometta, il tifo romanista apprezzò con fine ironia la vittoria ai danni della Juve, sul pantano dell'Olimpico, con un autogol di Bercellino all'ultimo secondo, il massimo della goduria.
Mentre si avvicina la trasferta juventina in casa Lazio, la parte più deteriore del tifo biancoceleste vorrebbe ripetere l'ignominioso suffragio al contrario quando all'Olimpico era scesa l'Inter, rivale della Roma nella corsa allo scudetto. Non meriterebbe neanche un giudizio quell'invito a «scansarsi» rivolto ai propri giocatori, un marchio di infamia sulla storia laziale, Maestrelli non avrebbe mai accettato un comportamento simile.
Ben diversamente si era comportata la Roma nella stagione del primo tricolore conquistato dalla Lazio. Alla terzultima giornata la Juventus, in lotta con i laziali per la vetta della classifica, scese a Roma e non trovò né remissione, né agevolazioni da parte giallorossa, due gol di Prati e uno di Domenghini spensero le velleità dei bianconeri, un autentico regalo ai cugini, che però non si sarebbero mai sentiti in debito di riconoscenza. Ma la Roma si era limitata a onorare i valori dello sport.