Se domenica sera, prima della partita, nel tunnel di un Olimpico ostile, lOlimpico sbagliato, i lupi cercheranno con lo sguardo il più lupo di loro, quello sarà uno biondo, tutto barbuto e tatuato, una manica più lunga e una più corta. Maglia numero 16. Guarderanno Francesco Totti e si sentiranno calmi, fiduciosi, sicuri di sè.
E così. Le cose cambiano in fretta. E la stessa barba può trasformarsi in pochi mesi.(...) E lo stesso Daniele che di questi tempi dice allegro alla gente di Trigoria, compagni, amici, dirigenti: «Meno male che non sono andato a Manchester, sennò a questora mi sarei suicidato...». Non si sarebbe suicidato, ma certo si sarebbe mangiato almeno due gomiti. No, non lavrebbe sopportato. «Fossi andato via, non sarei mai più riuscito a vedere una partita della Roma». Non rabbia, nè astio. Troppo dolore.
Perché De Rossi, credeteci, in tutta Trigoria e non solo, oggi, a due giorni da Juventus-Roma, è quello che ci crede di più. E lo stesso che, solo pochi mesi fa, 17 agosto, amichevole a Terni, non ci credeva per niente. «Non mi sentivo a mio agio, non mi riconoscevo più nel rapporto con i compagni e con i tifosi». Lo stesso che, a Genova, poco più di un mese dopo, 26 settembre, alla fine di Sampdoria-Roma, incrocia quel meraviglioso bucaniere di Walter Sabatini che gli fa sornione: «Daniele, mi sta venendo il dubbio che siamo proprio forti». Lui ascolta, se ne va pensieroso, torna sui suoi passi e dice al Walter: «Io non ho nessun dubbio». E lo stesso De Rossi che un anno prima, dopo un letale Juventus-Roma, aveva detto: «Chiunque parli di scudetto, fa il male della Roma». Quel chiunque era Zdenek Zeman. (....)
Ma chi è De Rossi, detto DDR, una nazione al di là del calciatore? Un insieme di storie, di tumulti e di vene che scoppiano sotto la stessa pelle. Garcia lha inquadrato subito, «Daniele è un affettivo che pensa con il cuore, uno leale, duro e forte in campo». Walter Sabatini rinforza a modo suo il concetto: «Un uomo intelligente, di una sensibilità estrema, che non riesce a farsi scivolare nulla addosso, un groviglio mentale interessantissimo». De Rossi ha una vita interiore complicata. Sempre fosforica. Nel bene e nel male. Non erano i silenzi di Zeman a turbarlo, ma le sue parole. La ferita più sanguinosa? Quando il boemo li raccontò pubblicamente, lui e Osvaldo, come due lavativi e menefreghisti, «che pensano agli affari propri». Dove Osvaldo fu accostato a De Rossi solo per non farlo sembrare lunico bersaglio. Ma, eccome se lo era. De Rossi ha bisogno di sentirsi amato. Chi se ne frega, dirà qualcuno, con tutto quello che guadagna. (...).
Il suo torto? Quello di sempre. La permeabilità. Non riuscire a farsi scivolare nulla addosso. Sentirsi maltrattato quando lo era davvero. Giocava male perché non si sentiva bene. Sempre zuppo di sangue e infiammato di nervi. E voleva andarsene, ma non voleva andarsene. Anche quando i compagni in Nazionale lo subissavano: «Ma che cazzo ci stai a fare nella Roma, vattene allestero!».
E un leader naturale DDR, ma senza la pretesa di esserlo. Non è un conducator di vocazione. Ma ci mette la faccia sempre quando serve e i compagni si fidano di lui. Lui li rispetta e si fa rispettare. Filtra un episodio dal segreto dello spogliatoio. Unamichevole della tournée americana. Fine partita. Uno dei giovani nuovi arrivati si lascia andare a un apprezzamento su un dribbling sbagliato da De Rossi. Daniele incassa, si fa la doccia, incrocia alluscita il giovanotto e gli dice una sola frase davanti a tutti: «E tu, quando cominci con la Primavera?». Prima era solo, De Rossi (Totti è un leader di campo, scettico incallito pure lui, uno scettico meno complesso di Daniele, ma oggi è un altro che ci crede, eccome). Oggi si sono aggiunti prima Balza e poi Morgan (De Sanctis). E poi Benatia e Strootman. (...)
Dove sia invece rinato De Rossi lo sappiamo. A Trigoria nello sguardo azzurro e onesto di Garcia. Fuori Trigoria, nellaffetto di Gaia e Sara, figlia e compagna, le due donne che lhanno portato oltre la banlieu della sua Ostia senza spostarlo da Ostia. In attesa della terza, che sta arrivando. De Rossi è tornato a casa. Questo conta. Più romanista che mai, anche e soprattutto quando gioca zoppo con un alluce in fiamme. Domenica sera, comunque vada a finire, ce lo racconterà, una volta di più.
(corsport)