LA REPUBBLICA (G. ROMAGNOLI) -Una dovuta premessa: non sarò imparziale. Perché: I love Gervinho. Bisognerebbe scriverlo con il cuore tra il soggetto e il complemento oggetto, come nel logo di NY. Se esistesse sulla tastiera. Esiste solo sul campo, dove gioca lui, buttandocelo. Non sono romanista e non mi ha mai contagiato lestetica estatica di Garrincha, Best o Meroni: li paragonavano ad animaletti e finivano schiacciati
Ecco Gervinho, con licenza poetica, è una creatura di Gervantes: uno scudiero sognatore, che trascina leroe indolente oltre i confini della sua fantasia, aggiungendoci la propria, che è tanta, poiché lui è Signore dei Tranelli e Principe dei Varchi, ti inganna e passa. Cè stata, in questo suo memorabile inizio di campionato, una Roma senza Gervinho e una con Gervinho. La prima vince, la seconda pareggia nel finale. Mentre tutti aspettavano il ritorno di Totti era quello di Gervinho a far riprendere il discorso da re e ritentare lassalto (almeno per un po, dai) al trono della Juventus. Si è visto domenica, con la Fiorentina. Dopo una convalescenza e un rientro con il freno a mano tirato, si è lasciato andare e ha fatto due cose che chiamano assist ma sono mezzi gol. Gervinho ha la vocazione dello scudiero: apre e non finisce. Se tocca a lui farlo, sbaglia il rigore decisivo per la Coppa dAfrica.
Se può farlo fare ad altri, è infallibile ne renderli non fallibili. Gervinho scarica. Non la responsabilità, ma il piacere dellultimo tocco. E uno dei pochi panda che vanno in quel territorio patrimonio dellUnesco che è il fondo campo e da lì, un centimetro prima della fine, rimettono dentro per il tiro del compagno piazzato, provocando il torcicollo ai difensori e lo strabismo ai portieri perché in quel preciso momento soltanto lattaccante guarda avanti.
Nei gol della Roma alla Fiorentina lo fa due volte. Lanomalia suprema è che lo faccia la prima volta sulla fascia sinistra, la seconda su quella destra. La prima desterno, la seconda con linterno. Mancano il passaggio di tacco, di testa e la nasata della foca monaca, il resto del repertorio cè tutto. Nellintervallo tra le due azioni decisive apre porte che non ci sono e sinfila furioso nei corridoi, sterza in corsa come se si fosse ricordato di aver dimenticato il cellulare a casa, qualche volta purtroppo tira. Gervinho è immenso quando passa: prima lavversario e poi la palla. E perfetto nellinnescare Destro e finalmente si crea la combinazione tra fulmine e tuono che Liajic o Borriello riducevano a petardo. Ma è nellazione del primo gol che sannida un attimo sublime. Gervinho è in area, sul lato sinistro, e ha davanti il terzino. Si mette nella posizione più temuta dal difensore: la souplesse del ciclista da pista prima dello sprint.
Lì è come essere un portiere di fronte al rigorista: bisogna indovinare da che parte la metterà. Ma anche allora, può non esserci niente da fare. Con Gervinho non ce nè. Sceglie lo spiraglio più chiuso, quello che porta al fondo, alla sua tana. Guida la palla con il destro e, se fosse un altro, proverebbe a crossare di sinistro, perché mancano tempo e spazio per fare altro. Invece danza sullorlo del precipizio, lo guarda con la stessa passione di Thelma e Louise nel finale, ma non abbocca al suo richiamo. Resta in gioco, rientra dallaldilà, fa ancora un passo e la mette in mezzo. Basta spingere scriveva il predecessore Bruno Conti. Florenzi non spinge, tocca a Maicon completare il mezzo gol di Gervinho.
Il silenzio di Gervinho lo Yanez del pallone che parla col dribbling Con i suoi assist ha fatto rinascere la Roma. Mentre tutti gli altri esultavano, ha abbassato la testa mentre il mezzo goleador esulta, laltro mezzo, quello vero, abbassa la testa e continua a camminare.
E Florenzi, un ragazzo con il senso della giustizia, a indicarlo, a segnalare al popolo in tribuna e ai compagni in campo che il merito è dello scudiero. In quel momento Gervinho non sembra neppure felice: è un bambino al calar della luce quando il cortile si spopola. Incarna la gioia mentre gioca, indossa la malinconia appena smette. Non importa se ha fatto segnare, la palla è ferma, gli amici perdono tempo, il pomeriggio se ne va. Sandokan si prende la perla, Yanez il mare. Qui è la differenza, qui la grandezza. La perla è un fatto, il mare una promessa. E unidea più grande di qualunque cosa già realizzata: si chiama idealismo, significa pensare che domani faremo qualcosa di migliore, ci proveremo, ancora una volta e ci riusciremo. E infatti, nel secondo tempo, lo rifà, ancora meglio e la Roma vince. Gervinho riabbassa la testa e sogna altri mari, a...