Falcao: «Roma e la Roma i miei amori infiniti. Totti Pallone d’Oro»

27/10/2013 alle 10:14.

CORSPORT (F. M. SPLENDORE) - «E’ inesplicabile, si dice così no?».Paulo Roberto Falcao è questo: fa la cosa meno scontata nel modo più naturale. Come il 25 ottobre 1981, Roma-Fiorentina, un tacco volante a mettere la palla sulla testa di Pruzzo dalla linea del calcio d’angolo. Lo stadio venne giù dal visibilio, e lui: «Era l’unica cosa che potevo fare...»



Una festa per Roma e la Roma. Falcao, ci racconta il perché?

«E’ il mio grazie a una à e a una squadra che mi hanno stregato. Per sempre. Era una cosa che sentivo, avrei dovuto farla a Roma, sull’Appia Antica: poi un amico brasiliano molto caro ha avuto un problema molto importante e non sarebbe potuto venire. Per rispetto ho spostato tutto a Porto Alegre. E ho portato in Brasile Roma e la Roma: nei colori, nei sapori, nelle immagini, dal calcio ai grandi monumenti. L’ho voluta così. Quando arriva il dia redondo devi fare qualcosa di importante».



Un’immagine di Roma che si è portato via, per sempre?

«Potrei dire il Colosseo, l’Aventino, il Foro Romano, Circo Massimo numero 7, la sede... E invece ti dico il 10 febbraio 2002: Olimpico pieno per Roma-. La Roma del mio amico Fabio Capello ha vinto lo scudetto da otto mesi, quello dell’83 è diventato storia. Bene, in ottantamila si alzano e gridano il coro Falcao Falcao per qualche minuto interminabile. Vent’anni dopo! Straordinario».



A proposito di scudetti... La Roma di ?


«L’ho vista con la Lazio. E ho saputo del 3-0 a Milano con l’Inter che non è mai un risultato facile. Seguo tutto, l’avvio di stagione è stato straordinario. Fantastico, direi».



E inatteso...

«Sono quelle le cose più belle. Chi pensava che Viola avrebbe aperto un ciclo scudetto negli Anni Ottanta? E guardate che quello scudetto è stato il più faticato: intanto, se non ci fosse stato lo scandalo del gol di Turone di scudetti ne avremmo vinti almeno due. E poi quella era una Roma in cui gli acquisti eravamo io e Superchi. Quella del 2001 e questa sono due squadre diverse, costruite a suon di acquisti».



Quella di lo scudetto può vincerlo?


«
Gli scudetti si vincono dentro gli spogliatoi. E non si vincono a novembre. Siamo all’inizio, è presto. Ma certo la Roma ha fatto finora qualcosa di straordinario. E poi con un così...».



Da Pallone d’Oro? Pare che se non vinci a livello internazionale non lo prendi...

«Quando giocavo io non lo prendevano i sudamericani: una legge strana... Comunque non è un costruttore di gioco, è essenzialmente un finalizzatore. Voglio dire che non ha un ruolo in campo per cui non puoi dargli tutta la responsabilità di non essere riuscito a portare la squadra in alto in Europa. Ma come finalizzatore è straordinario, tra i migliori in assoluto. E quindi da Pallone d’Oro. Ha avuto rivali altrettanto forti a livello internazionale, questo sì» [...].



La sua ultima partita con la Roma è stata contro il il 16 dicembre 1984: e ha segnato. E ora la sfida per lo scudetto dice
. Un segno del destino che riaggancia il passato al presente?


«Come me lo ricordo quel gol: mi dà palla Conti, fingo di stopparla, la do a Cerezo, me la ridà e a quel punto stoppo di e tiro di sinistro. per lo scudetto? Sarebbe proprio bello che se lo giocassero due squadre del sud calcistico d’Italia».



Alla penultima, , l’ufficialità dello scudetto e all’ultima, Roma-Torino, la festa: questo campionato finirà a campi invertiti, Roma- alla penultima e all’ultima: a tutta cabala... Serve anche questo?


«Serve a caricare l’ambiente questo va bene. Ma tutto questo dallo spogliatoio dovrà restare fuori. La Roma deve vincere a maggio. Pruzzo disse una battuta bellissima: “Ci voleva l’anno santo per farci vincere lo scudetto”. Ma lo disse dopo: non costruimmo la vittoria su questa speranza. In questo la Roma, con , mi sembra aver trovato la quadratura mentale giusta. Mi piace , ha equilibrio, ha dato forza alla squadra».



L’eliminazione dal Mondiale in Spagna, dopo Italia-Brasile 3-2 il 5 luglio 1982 a , e la finale di Coppacampioni con il Liverpool il 30 maggio 1984. Uno dei due dolori è più grande?


«Sono uguali. Ma non sono gli unici. Ho perso anche una finale di Coppa Libertadores e mi hanno tolto lo scudetto di Turone. Però io ho sempre pensato una cosa: nel calcio devi essere ricordato per aver lasciato un segno. Il mio fratello Bruno Conti, in un servizio, ha detto che io portai a Roma la mentalità vincente. Questo mi dà gioia».



Il suo calcio e quello di Liedholm si somigliavano molto. Che sintonia tra voi...

«Ci sono quatto modi di vivere il calcio: giocare bene e vincere, giocare bene e perdere, giocare male e vincere, giocare male e perdere. Io sono per il primo e anche Liedholm lo era. Un vocabolo da noi è la firula, il gesto tecnico fine a se stesso. Ecco, quello non serve. C’è un quinto modo, affascinante come il primo: giocare per fare la storia, come l’Olanda del 1974 o il Brasile del 1982».



Liedholm. Ne parliamo?

«Straordinario. Sprovvisto di vanità. Un leader flemmatico, molto dolce, ma duro quando serviva. E capace di sdrammatizzare tutto. Mi chiese che maglia volevo, gli dissi la 5 se non avessi creato problemi. Me la fece trovare nello spogliatoio. E’ la maglia che gli ho spedito con una lettera quando sono andato via: noi della Bilancia siamo così, riservati. Gli scrissi che preferivo evitare di vederlo perché ci saremmo commossi. Ci confrontavamo: dopo il primo tempo con il Dundee mi chiese perché non segnavamo e io gli risposi che ci serviva un’ala per allargare la loro difesa. Mise Chierico, passammo il turno e nel post-partita disse ai giornalisti che l’idea era stata mia. Ti rendi conto che persona? Mi costrinse a rispondere alla stessa domanda smentendolo e affermando che era lui quello che decideva tutto. Perché poi era così, il nostro era un confronto schietto».



E Viola?

«Rapporto da presidente a giocatore, ma io sentivo di piacergli come calciatore. Poi abbiamo avuto problemi, ma ci siamo chiariti, purtroppo alla fine della sua malattia. Era a Cortina e mi chiamò, il 10 gennaio 1991: mi disse che voleva offrirmi un biennale per allenare la Roma. C’era l’idea di vedersi: nove giorni dopo se ne è andato».



Ma la Roma l’ha mai più cercata?

«Non sono mai più stato vicino alla Roma come in quell’occasione. Non so perché, strano vero? Ma è così».



Nei festeggiamenti per il
dia redondo vogliamo mettere la parola fine sul rigore in Coppa campioni?

«L’ho fatto tante volte: il ginocchio era a pezzi. Il resto sono favole. Abbiamo vinto una Coppa Italia con il Torino con un rigore battuto dal sottoscritto» [...].

Torna se la chiamano?

«Sono tornato... Ho portato Roma a Porto Alegre... (sorride). Non diciamo altro. Dovrei rispondere sì e sembrerebbe come propormi. Invece la Roma è forte così».