CORSPORT (G. DOTTO) - Quando Totti scaraventa l'equivalente di un travertino alle spalle di Handanovic sembrava l'inizio e invece era la fine. La Roma dura mezz'ora. Spenti alla meta per un pareggio che si porta addosso la mediocrità delle cose inutili, delle occasioni mancate (probabilmente l'ultima) e la conferma che il vento zemaniano è appena una bava tiepida che sta lasciando solo foglie secche, illusioni a mazzi e l'orribile replica di un incubo che sembrava un'esclusiva del desaparecido mistero asturiano (chi era, da dove è venuto, dov'è andato?).
Lo scandalo di Firenze non stava nella rottura del dogma zemaniano, ma come questa rottura avesse disvelato una verità fin lì sepolta sotto valanghe di gol subiti, e cioè che la difesa della Roma, messa così, con quei tre dietro, è probabilmente una delle più forti del campionato, capace perfino di coprire uno dei portieri più scarsi mai apparsi a questi livelli (anche ieri sera esilaranti numeri alla mister Bean). Una Roma forse meno "bella" (ma quante volte lo è stata?) ma più equilibrata e dunque più capace di sfruttare il suo talento. Da qualche botola divina un suggeritore aveva regalato a Zeman la chiave giusta, ma la presunzione infinita del boemo ha ricacciato l'assist nel buio delle cose che meritano il suo sommo disprezzo. Citando a sproposito, per spiegare il suo verbo, leggende del calcio alle quali la Roma somiglia come un topo spompato a un cavallo arabo.
Florenzi e Bradley in mezzo, Marquinhos dietro hanno cercato di tenere su le braghe a questa Roma tremula, capace di riesumare un'Inter che aspettava solo il colpo di grazia. C'era appena Totti, ma non c'erano Osvaldo, Lamela e De Rossi, Non c'era e non c'è mai stato Balzaretti, un'ombra che nemmeno cammina. Se aggiungiamo che Zeman in panchina ha i tempi di Mosè quando scala il Sinai, il resto vien da sé.