CORSPORT (G. DOTTO) - Il derby malamente perso nel diluvio, 11 novembre, e la vittoria da studiare a Coverciano contro i rampanti di Montella, l8 dicembre. 27 giorni esatti, uno scorcio temporale, uninfinità concettuale, la sottile fune su cui balla il destino di Zeman, da mummia pensionabile a totem beatificabile.
Alla fine di Lazio-Roma sfidavo il lutto dei tifosi e lirritabilità di chi detesta i paradossi scrivendo che cera, eccome, del buono in quella sconfitta. Che tracce della magnifica follia zemaniana erano apparse anche dentro e sotto quel rovescio. Nelle tre vittorie a seguire, la squadra fa un passo indietro. Risultati a parte, si rattrappisce nel dubbio e prende a testuggine il genio di Totti. Qualcosa accade, in parte, nel secondo tempo di Siena. Quel Pjanic, spiantato alto a destra nel primo tempo, arretra, trova spazi, estri e tocchi mozartiani. E qui arriva, incauto, Montella. (...)
Esaltando Totti, inventa un Pjanic sconosciuto anche a se stesso oltre che alla mamma. Come aveva già inventato un Lamela mai visto prima. Pjanic (commovente per quanto lascivo, effeminato, negligente e dunque divino il suo ultimo assist a Destro), come Lamela prima di lui, scopre lebbrezza della verticalità. Leuforia di lanciarsi a peso morto e salute di ferro negli spazi, con e senza palla, di attaccare il nemico là dove il nemico non cè o non può arrivare, rinunciando a ghirigori e vezzi di un manierismo da cortile.
Eccolo il calcio zemaniano, lezione da studiare non solo a Coverciano. Sintesi killer, che parte da un pensiero forte, ma poi si libera di ogni pensiero, rifiuta il calcolo, per diventare atto puro, elettricità, dritta al cuore delle cose. Reinventati nel nome della verticalità i suoi due talenti più grandi, Lamela e Pjanic, Zeman deve ora, a partire da domenica, vincere la sfida intellettuale più grande: farli coesistere.
A tutto questo si aggiungano risorse sparse, gregari sulla carta ma fondamentali di fatto, americani, paraguaiani, uruguaiani e greci (che sciocchezza masochista e che odiosa crudeltà insultare un ragazzo così generoso e così dentro il gruppo solo perché colpevole di stare là dove dovrebbe stare De Rossi). Si aggiungano i due meravigliosi brasileiri là dietro, che ci si butta più volentieri se hai alle spalle un paracadute che funziona. Simmagini uno Stekelenburg finalmente capace di urlare anche a Burdisso la sua grandezza, un Osvaldo libero dalle paccottiglie di un ego da rockstar, un Destro capace di coniugare passione e lucidità. Simmagini un Totti che Dio ce lo conservi e un Dodò che la salute lo assista. Simmagini uno Zeman capace di parlare con De Rossi e di De Rossi senza lo stillicidio di mezze frasi e parole, che lui proprio non se le merita. E ci siamo quasi (al lieto fine).