Tommasi: "Vi spiego il ruolo"

14/10/2012 alle 11:07.

IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - L’intermedio di centrocampo per eccellenza di una squadra di Zdenek Zeman ha un nome e cognome: Damiano Tommasi, un passato da centrocampista, ora presidente dell’Aic. Conosce bene il boemo, così come De Rossi e la Roma.



È rimasto sorpreso da quello che è successo tra e Zeman?


«Io no. Zdenek lo conosciamo, allena senza vincoli con la storia dei giocatori né con le esigenze della à. Il suo unico vincolo è il campo, il lavoro e la squadra migliore da schierare. Se non vede un calciatore idoneo per una partita, lo lascia in panchina. Tutto qui».




Incide l’aspetto disciplinare?


«Può incidere, ma stavolta credo sia più una questione tattica».



preferisce fare il centrale.


«È il suo ruolo, ha sempre giocato lì».



In nazionale, l’intermedio, lo fa.


«In passato lo ha fatto anche nella Roma, ma stavolta è un po’ diverso».



Si spieghi.


«L’intermedio di una squadra di Zeman, che gioca con il , deve fare costanti inserimenti in avanti, c’è la ricerca e l’aggressione degli spazi e in certe fasi di gioco si ritrova anche a fare l’esterno di attacco. Ci vuole un movimento continuo in verticale verso la porta avversari. In nazionale, con il 4-3-1-2, la manovra è diversa, c’è minor ricerca degli spazi in verticale e, quindi, gli intermedi di centrocampo non devono fare quel lavoro, ma far girare maggiormente la palla. E forse ancora deve prendere confidenza con i meccanismi zemaniani. Poi in azzurro ha compagni con cui gioca da tempo, la Roma invece ha cambiato tanto e ci vuole tempo».




Quindi la differenza non è giocare accanto a Pirlo o a Tachtsidis.


«No, è una questione tattica, di caratteristiche, non di qualità di calciatori. E comunque non credo sia vero che giochi meglio in Nazionale che nella Roma, e non è detto che Zeman abbia apprezzato la prestazione contro l’Armenia».



Non è semplice per uno come sentirsi dire da un allenatore: tu fai l’esterno, perché il centrale lo fa Tachtsidis, cioè uno che la serie A l’ha conosciuta solo quest’anno.


«Io se fossi in Daniele non mi preoccuperei. Accetterei più serenamente certe decisioni, sapendo di poter dare un contributo importante anche in un altro ruolo. Del resto, se non sbaglio, è la prima volta che va in panchina con Zeman».




Quindi non è un problema dilagante.


«No. Il discorso è sempre lo stesso: tutto si ingigantisce in base alla portata del calciatore, ma per un allenatore fare certi ragionamenti è normale. Quando uno è importante, ha una grande appeal nei confronti dei tifosi e della stampa, il caso diventa più grande di quello che è. Quando Zeman allenava la Lazio, fece più o meno la stessa cosa con Gascoigne. Nella Roma, 14 anni fa, era lo stesso con i brasiliani».



Il grande giocatore crea problemi, dunque.


«No, semplicemente fa più notizia. Zeman ha un solo obiettivo: fare risultati e spettacolo e le scelte sono funzionali a questo. Non bada ai nomi, ma si sapeva, non è sorprendente».



Fin ora s’è visto poco di tutto questo.


«Per me è solo una questione di tempo. Anche quando giocavo io fu così, non partimmo benissimo».



Anche Osvaldo è rigenerato dalla Nazionale.


«Zeman lo conosce bene, sa quello che può dare e quando lo può dare».



Si può dire che, avendo già Osvaldo, è stato sbagliato acquistare ?


«No, non credo. È sempre così: quando mancano i giocatori, ci si lamenta; quando ce ne sono tanti, ci si lamenta lo stesso».