Come ti prendo la Roma. L'avanzata di Pallotta

28/12/2011 alle 08:30.

GASPORT (A. CATAPANO) - Il 1°aprile, nei giorni più caldi della cessione della Roma agli americani, Massimo D'Alema fu intercettato alla Buvette di Montecitorio dai cronisti de Il Romanista. «Presidente, è rilassato?», gli chiesero. «No, affatto — rispose alla sua maniera tranchant —. Anzi, sono preoccupato, e lo sarò fino alla firma di Pallotta. È lui l'americano con i soldi. DiBenedetto invece non ce l'ha, è solo il punto di riferimento dei suoi soci». Quasi nove mesi dopo, alle prese con una Roma ogni giorno più pallottiana e aspettando che il super manager si insedi a Trigoria, si può dire che la storia, almeno quella calcistica con la s minuscola, ha dato ragione a Massimo D'Alema.

Scalata Al netto delle voci su presunti dissidi con il socio DiBenedetto, che James Pallotta stia scalando la Roma è innegabile. Lo dimostra il «piccolo colpo di stato» (copyright UniCredit) appena consumato nel consiglio d'amministrazione del club: fuori i due soci vicini al presidente (Ruane e D'Amore), dentro i due manager più fidati di Pallotta, Mark Pannes e Brian Klein. Il primo — che ha ereditato tutte le deleghe in possesso di DiBenedetto, degradato a presidente di rappresentanza — è il suo braccio da anni; il secondo è un compagno di investimenti e, soprattutto, un guru del soccer americano. Non si offendano gli altri, se li definiamo gli unici manager davvero insostituibili della Roma: saranno loro a creare quel «modello di business» che ha in testa Pallotta, «in grado di fornire alla Roma i mezzi per competere ad altissimi livelli». Non a caso si stanno occupando, e ormai da mesi, di marketing, sponsorizzazioni, accordi commerciali e soprattutto nuovo stadio.

Dissidi In verità non si può negare nemmeno che tra DiBenedetto e Pallotta ci siano state incomprensioni. Sullo stipendio che il primo si sarebbe voluto dare (se lo avrà, sarà molto più basso del milione richiesto), sugli uomini da piazzare nel Cda al posto degli uscenti, sulle quote da versare per l'aumento di capitale, ormai imminente. Pallotta ha vinto su tutta la linea e lo scenario più probabile è che tra un paio di mesi, a ricapitalizzazione completata, si ritroverà in mano una percentuale azionaria più alta degli altri soci. Mentre DiBenedetto, circola anche questa ipotesi, sembrerebbe destinato a defilarsi sempre di più, fino a rinunciare alla carica di presidente.

Come ha fatto? Il consenso per James Pallotta è pressoché unanime dentro la Roma. Praticamente, si sono schierati tutti con l'azionista dei Boston Celtics. Franco Baldini, per dire, ne è rimasto stregato. E UniCredit ha fatto il tifo per lui fin dall'inizio della trattativa: se Pallotta si fosse sfilato dalla cordata, la banca avrebbe fatto saltare la cessione. Oggi Roberto Cappelli, legale di fiducia dell'istituto di credito e vicepresidente della Roma, ricorda: «Cercammo di coinvolgerlo da subito, è un personaggio molto "solido", che abbia deciso di intervenire in prima persona è un bene per tutta la Roma». D'accordo.

A questo punto resta da chiedersi come li abbia conquistati tutti. Basta scorrere la sua biografia. James Pallotta, 53 anni, origini italiane (un mix di sangue reatino, romano, pugliese e campano), una grande passione per il basket (ha una quota dei Celtics), soprattutto uno straordinario fiuto per gli investimenti. Nel 2009, il suo fondo, la Raptor Global, gestiva 12 miliardi di dollari e rendeva il 19,5% dell'investimento. Quando arrivò la crisi, Pallotta chiuse bottega e restituì i soldi a tutti. Non aveva ancora finito di leccarsi le ferite che ne aveva già aperto un altro, la Raptor Evolution, con uguali risultati. C'è bisogno di aggiungere altro? I romanisti lo aspettano all'Olimpico, l'8 gennaio.