GASPORT (M. CALABRESI) - Tenerone com'è, la prima cosa che Maarten Stekelenburg avrebbe fatto a Londra sarebbe stato stringere a sé il figlioletto Sem: «Piccolo, è tutto a posto». E invece, Maarten era lì, solo, trincerato nell'albergo dell'Olanda mentre fuori succedeva il finimondo.
Zero nostalgia Nei primi giorni romani, Stekelenburg si è ambientato benissimo, nonostante la timidezza mostrata davanti ai microfoni facesse intendere altro: ha sempre il sorriso sulle labbra, parla poco, ma si fa già sentire tanto e, quando c'è da chiamare il pallone, il «vocione» si sente anche fuori dai muri di Trigoria. In campo ha la faccia da duro, il fisico da guerriero, e domani si prenderà la Roma. La presenza di Lobont, suo compagno ai tempi dell'Ajax, lo ha aiutato e parecchio. Il romeno gli fa da interprete: non avrà lo stesso appeal della traduttrice che era accanto all'olandese nel giorno della presentazione, ma sull'efficacia nessuno ha da ridire.
Fenomeno mediatico Stekelenburg non è giapponese, e non ha richiamato un esercito di giornalisti a Roma così come è avvenuto in passato per Nakata o, recentemente, per Morimoto a Novara, ma in Olanda l'attenzione verso il giallorosso è cresciuta notevolmente: i media locali parlano del «più grande trasferimento dell'estate», e non c'è giornale o sito olandese dove non campeggi la foto di Steek. C'è di più: la società che gestisce il portiere, la Sport-Promotion (di cui fa parte Robert Jansen, il suo agente) ha prodotto un video, rintracciabile sul sito della società stessa, con un film di immagini inedite del primo giorno di Stekelenburg a Trigoria. Inizia con i saluti ai compagni, continua con i primi passi nello spogliatoio e finisce sulle note di «Roma Roma» di Venditti. Curioso, da vedere.
Fine dei problemi? Da vedere, come la Roma con un portiere nuovo. Il curriculum è abbondante, la speranza di aver risolto i problemi tra i pali direttamente proporzionale. E se non c'è un titolare con il numero 1 sulle spalle dai tempi di Antonioli (a parte la breve parentesi di Curci nel 2005), poco importa, quello è un dettaglio. Proprio l'attuale portiere del Cesena (prossimo ai 42 anni) non è stato mai amato nonostante lo scudetto, figuriamoci gli altri. L'ultimo baluardo (è proprio il caso di dirlo) a cui Roma ha voluto bene è stato Michael Konsel, due sole stagioni e per lo più negli anni di Zeman, quando gli avversari arrivavano da tutte le parti e l'austriaco già a quei tempi brizzolato ci metteva una pezza.
Missione Pelizzoli era il «nuovo Buffon» non rivelatosi tale, Curci un'eterna promessa, Zotti neanche a parlarne: poi Doni, fatto sbocciare da Spalletti prima di un derby e andato via via spegnendosi anche per colpa di un ginocchio spremuto come un limone, e infine Julio Sergio, che nel primo anno di Ranieri sembrava la panacea di tutti i mali e invece, dopo l'epoca dei miracoli, è tornato uno «normale». La mission di Stekelenburg non è delle più facili: conquistare Roma e la sua gente, per un portiere, è un lusso per pochi. Magari avrà chiesto consigli a Tancredi, tornando da Londra, o forse lo sa già.