IL ROMANISTA (P. MARCACCI) - Perdere la Roma, parafrasando Massimo Ranieri, uno di quelli che ieri hanno festeggiato; ancora più che il risultato, forse i napoletani hanno celebrato il dominio, il controllo della partita, la sensazione di poter far male a più riprese. Perdere la Roma, non tanto la Roma che perde, che può essere un qualcosa di episodico,
Inter a Milano e Napoli in casa: peggio ieri sera, almeno a San Siro serano visti sprazzi di grande calcio, se non altro aveva luccicato a tratti largenteria di famiglia. Si esce dallOlimpico più consapevoli, stavolta, con la cognizione definitiva che con le figurine non si può giocare più, perché per tutte le volte che ci siamo fermati a considerare quanto grande sia il potenziale che abbiamo, son più quelle che ci siamo ritrovati, con incredulità, a contemplare quello che la Roma lascia per strada, i peccati mortali che compie in termini di punti sbriciolati come Pollicino, lungo un sentiero che però non conduce alla strada di casa ma solo verso il nulla dei rimpianti, che finiscono solo nellalmanacco dei tifosi autolesionisti, quelli con troppa memoria e troppo amore. Basta. Dora in poi allo stadio, o davanti allo schermo, con il disincanto degli agnostici, con lanimo sereno di chi almeno non vuole compromettersi quel troppo che porta a soffrire. Saremo mai capaci? No, perché siamo romanisti e qualche volta sembra una maledizione, della quale non si può fare a meno ma che non è colpa nostra se ci pugnala ogni volta che tentiamo di infilarci labito di gala. Cosa resta di questa stagione, da condurre comunque in porto, a parte le previsioni sullo stadio nuovo e sul merchandising finalmente allaltezza? Resta da vedere come se la giocheranno gli altri, credendoci fino alla fine e ogni volta che faremo queste considerazioni, ci tornerà in mente la Roma impotente di ieri. Ma perché? Di certo la colpa non è nostra.