IL ROMANISTA (G. PIACENTINI) - Se aprite il dizionario della lingua italiana, alla parola decisivo si legge: risolutivo, cruciale, determinante, conclusivo. Si potrebbe aggiungere un altro sinonimo: Francesco Totti. Il decisivo, appunto. Anzi, il diecisivo. La luce in mezzo al campo. Quella che ha acceso anche martedì sera contro il Bayern. I giocatori tedeschi lo hanno visto a bordo campo e in qu
Se la tiene stretta Francesco. E i romanisti si tengono stretto lui. Luomo che, nelle occasioni che contano, cè sempre. Da una vita, da sempre. Il pallone del rigore contro il Bayern, nato da una sua illuminazione, pesava come un macigno. Metà della gente allo stadio, ormai travolta dalle emozioni, non ha avuto neppure il coraggio di guardare. Lui non ha fatto una grinza e ha sparato verso la porta il suo destro. Come quattro anni e un pezzetto fa. A Kaiserslautern lItalia era ad un passo da una mesta eliminazione dal Mondiale di Germania, poi quel fallo su Grosso e le facce degli azzurri che si guardavano come a dire: E mo chi lo tira?. Un istante dopo Francesco era lì sul dischetto. Lui e quella manciata di viti che gli erano state messe nella caviglia solo 4 mesi prima. Anche lì nessuno aveva il coraggio di guardare. Tutti con gli occhi chiusi. Tranne lui, destro in rete e la corsa verso il titolo mondiale.
Decisivo. In quella occasione come lo è stato dallinizio della sua carriera, quando con le sue giocate decideva i derby nelle giovanili. Oppure con quel gol nella semifinale dellEuropeo under 21 contro la Francia. Si capiva già da allora che quel ragazzo biondo avrebbe cambiato la storia del calcio. Sicuramente della Roma, portando nella capitale il terzo scudetto della sua storia. A modo suo, con 13 gol, tutti dal peso specifico enorme. Basti pensare al primo, quello che sbloccò la partita col Bologna alla prima giornata dopo le contestazioni per leliminazione in coppa Italia. Oppure allultimo, quello del 17 giugno contro il Parma.
Quel giorno divenne leggenda, ma la storia aveva già cominciato a farla.
Anche di fronte allEuropa intera, col cucchiaio allo spilungone van der Sar in semifinale nel 2000 mentre i compagni lo guardavano e dicevano questo è matto. Non era matto. Era, ed è, semplicemente il migliore. Uno che nel 2002 ha segnato al Bernabeu per la prima vittoria di una squadra italiana dopo 50 anni. Uno che pochi mesi dopo, sempre in Spagna, ha fatto applaudire tutto il Mestalla di Valencia. Tutti in piedi, come a Marassi per rendere omaggio a un tiro al volo da fantascienza. Da Genova a Milano, perché il Diecisivo ha fatto tornare la Roma alla vittoria a San Siro dopo uneternità. E un genio come lui le cose le fa in grande: cinquanta metri palla al piede e il pallonetto perfetto a Julio Cesar. Era il 26 ottobre 2005 e da poco era iniziata
la sua carriera da centravanti. Quella della Scarpa dOro con 26 gol, quella della vittoria alla Gerland
contro il Lione, della doppietta al Milan nel novembre del 2006 (altro tabù infranto), quella del gol allInter dopo 50 nella finale di Coppa Italia.
Uno così poteva pure snobbare il quarto dora giocato contro il Bayern, poteva prendersela con lallenatore che non lo aveva fatto giocare prima. Un altro. Non lui. Lui entra e decide la partita. «Ha fatto la differenza - ha detto Ranieri -. Sapevo che potevo contare su di lui. Ha capito la mia filosofia. Io scelgo solo per il bene della Roma e ha dato tutto il suo apporto». Martedì sera Francesco era contento come un bambino: «Non eravamo partiti come volevamo, sotto di due gol era difficilissima anche perché di fronte avevamo un Bayern che voleva vincere. Tuttavia con la determinazione e la voglia di una grande squadra abbiamo ribaltato il risultato. Sì, non possiamo più nasconderci. Siamo una squadra da vertice, dobbiamo essere competitivi anche in Europa. Speriamo di dimostrarlo». Con i suoi gol. Come quello di martedì. «È bellissimo, perché era tanto che non segnavo una rete decisiva». Contento di essere tornato decisivo. Tranquillo France, lo sei sempre stato.