Sì, Menez

22/03/2010 alle 10:15.

Il lato artistico di Menez è già nella sua provenienza: nato e cresciuto nella Banlieue 94, una delle più dure di Parigi, molto rap e molta violenza, ma pure famiglia, amici, affetti. E senso di appartenenza, che Jeremy porta tutti i giorni sulle spalle, il 94 lo ha scelto appositamente.

Demoni come tutti i geni, inoltre, Jeremy fa quotidianamente i conti con la sua sregolatezza, non quella deleteria delle rockstar, ma quella abulica dei calciatori, quando vagano per il campo come intontiti dal sonno. C’è stata poi, anche per lui, la questione del conflitto interiore: della guerra ai fantasmi, della lotta con i suoi demoni, che forse sabato sera ha definitivamente vinto. Libero, finalmente, di ballare sulle punte. Di carezzare il pallone. Di sciare tra gli avversari. «Mi piace dribblare per il puro gusto di dribblare e umiliare gli avversari», disse in una memorabile intervista ai tempi del Monaco. Per questo usa aggirarli come paletti. Diamante Ha avuto bisogno del suo tempo, come tutti. A settembre, il francese Damiano, uno dei vice di Ranieri, disse di Menez: «Forse avrebbe avuto bisogno di giocare altre duecento partite in Francia primadi venire a Roma. Non è ancora pronto per l’Italia». Pareva una pietra tombale. E così è stato fino all’altra sera, con il ragazzo che non ingranava e si intristiva o si incazzava, e Ranieri che lo bastonava pubblicamente. Fino all’Udinese, in una splendida serata di primavera. «Una notte fantastica, la più bella da quando sono a Roma— ha detto Jeremy perfino sorridendo —. E bellissimo è stato l’applauso dei tifosi». E l’abbraccio con Ranieri, che stavolta di lui ha detto: «È un diamante, speriamo di averlo sgrezzato». Già gli si chiede continuità, ma lui è un genio.