IL ROMANISTA (T. CAGNUCCI) - Diciassette secondi dopo lultimo minuto di recupero eravamo noi ad attaccare, non il Milan stellare. E finita sotto la Sud, con un pallone sopra la traversa ma appena sotto una stella; è finita niente a niente dopo che mezzo mondo collegato in diretta tv si aspettava tutto. Zero a zero e forse ha vinto lInter, ma ancora può non essere vero. I guanti lanciati con stizza da Don Rodrigo sanno di sfida, non di rinuncia.
Nel primo quarto dora sè rivista la potenzialità di una squadra che aveva ritrovato il giocoliere più capace e necessario, David Pizarro, e tutte le sicurezze che accompagnano questo ambiente dal 28 ottobre, diciassette partite fa (ammazzata anche la scaramanzia). Senza sconfitta, senza macchia e - ieri - solo con un po di paura (il tiro a lato di Borriello, il colpo di testa di Ronaldinho e quellaltro di Huntelaar: stop). Ecco, questo pareggio significa esattamente quello che significa: la Roma non ha perso niente, nemmeno le speranze di sognare (meno sei a una decina di partite dalla fine e oggi cè il Genoa per noi).
Neanche ieri, così poco brillante, fica e spettacolare come sa essere, la Roma ha perso le sue certezze, anzi,
se possibile le ha ritrovate: in porta Julio Sergio, soprattutto lui. Se ne avevamo presi otto nelle ultime quattro un problema cera e aveva un nome e un cognome, non quello di Bertagnoli (che è un soprannome). Il rientro di Toni, che non poteva fare di più, ha già rifatto immaginare quanto questa squadra con lui possa cambiare: profondità, falli, sponde, occasioni, un profilo da Scarface malgrado il suo faccione solare. In difesa, alla solita enorme certezza, Silveira Dos Santos Juan, se nè aggiunta unaltra, quella di Burdisso, il Bandito che col Diavolo a un certo punto sè messo a giocare a kung fu, perché quello serviva, quello si doveva. Se Riise non ha giocato da Riise è perché di fronte aveva quel Milan che ad Atene lo aveva fatto piangere: stavamo allOlimpico, cera lo stadio pieno, da queste parti sono passate le notti di sogni e di coppe di campioni, per questo lui a un certo punto - quasi allo stesso minuto, quasi allo stesso punto - sè messo a fare un rinvio alla Bonetti.
Manca il fiato a ripensarci, manca il fiato a
Perrotta, apposta la Roma un po saffossa. Ma non cade, non è caduta e diciassette secondi dopo lultimo minuto di recupero, coi
guanti di Taddei che stavano ancora sparsi chissà dove, ha finito sotto la Sud. Non poteva che finire lì. Perché nella notte del niente a niente, di un pareggetto da imparare ad apprezzare, la certezza più grande di Roma è la Roma: la sua gente, la stessa incommensurabile cosa. Erano 3.185 giorni che non si riempiva così. Era il
17 giugno 2001: De Rossi stava in tribuna soltanto perché non riuscì ad entrare in Curva Sud, Candela era in campo perché in Curva Sud ci sarebbe andato ieri. Se lultimo dei campioni dItalia è finito lì un motivo ci sarà. Totti lo sa. Per questo un giorno non molto lontano ci tornerà.