Le sportellate del nostro gigante

10/01/2010 alle 10:59.

IL ROMANISTA - Con le unghie e con i denti, a difendere il preziosissimo gol di De Rossi, per tornare quarti, da soli, almeno per una notte. Vittoria pesante dieci volte più del risultato di misura, quella sul Chievo. La sesta nelle ultime nove giornate di campionato, più tre pari

Minuti che non passano mai. Ieri ne sono serviti novantacinque, cronometro alla mano, per scrollarsi di dosso la vischiosità delle cavallette sciamate sull’Olimpico dal borgo di Verona.

Ottantaquattro, per la precisione, consumati in inferiorità numerica. Due partite in una. La prima durata 11 minuti secchi, la seconda 77 più recupero. Il sogno di ogni allenatore è quello di vedere la propria squadra in vantaggio alla prima giocata: Ranieri l’ha vissuto dopo 47 second , grazie alla perfetta volée piazzata alle spalle di Sorrentino dal finalmente senza maschera. L’incubo di ogni allenatore è invece ritrovarsi con un uomo in meno per quasi tutta la gara, per di più per una banale distrazione: a Ranieri ieri è capitato di soffrire pure questo, dopo appena 11 minuti, quando lo sfigatissimo Doni, al rientro da titolare dopo una vita per il forfait di Julio Sergio, ha dovuto scegliere il male minore, toccando di mano in uscita fuori area su Abbruscato, a rimediare un inevitabile . E’ successo all’11°, appunto, quando Burdisso e soprattutto Juan hanno spalancato una tripla corsia dell’Autosole allo scatto dell’attaccante gialloblù, innescato da un bel tocco verticale di tale Rigoni. Perché negarlo? Per un po’ abbiamo pensato che la maledizione di Bruto Conti prolungasse il suo effetto sulla Beneamata, nuovamente a caccia, tre giorni dopo il finale-choc di Cagliari, della prima vittoria del 2010. Anche perché il Chievo, a dispetto della terza sconfitta di ila, mica scherza.



Lo dice la classifica, che lo vede sorprendentemente a quota 24. Lo dice la grana del gioco costruito da Di Carlo, pilota sottovalutato quanto capace. Lo dice il fatto che questa squadra sulla carta così modesta in stagione è già riuscita a vincere in trasferta quattro volte. Ma i nostri timori si sono sciolti con il passare del tempo, mano a mano che sulla moquette fradicia dell’Olimpico si è materializzata la terza partita nella partita: quella di Luca Toni contro i difensori del Chievo. L’Inciampicone ha lanciato sin dal primo pallone toccato la sua personalissima sfida a Mandelli e compagni. Inciampicando, appunto, sgomitando, facendo a sportellate con chiunque cercasse di arginare le sue movenze da scoordinato quanto irrefrenabile gigante. Non ha mai avuto il tocco di Montella, si sa. Né lo scatto di Delvecchio. E nemmeno il colpo di testa di Pruzzo, a dispetto del suo fisico da colosso. Però ieri ce l’ha messa proprio tutta per entrare nel cuore dei suoi nuovi tifosi (magari anche per cuoterne le perplessità) nella delicatissima prova d’esordio. Arrivando praticamente ovunque col cuore e la rabbia, se non con la classe pura. Da centravanti d’altri tempi. Vogliamo ricapitolare? Uno scatto vecchia maniera, con in corsa ribattuto, a rimediare l’angolo decisivo dopo pochi secondi. Un blocco su Mandelli a difendere l’inzuccata-gol di sulla centrata di Pizarro dalla bandierina. Una girata di testa a sfiorare di un palmo il palo. Una deviazione mancata su gran cross mancino di Riise. Decine di palloni contesi in ogni modo all’aggressività dei mastini veneti, a lungo tollerata dall’orrido Mazzoleni.

Gulliver contro i lillipuziani, una piovra a sfidare un branco di squali. Solo a fare reparto in attacco, all’uscita di Vucinic per , chiamato a rimpiazzare Doni tra i pali. Scelta coraggiosa quanto giusta di Ranieri (che ha preferito la sua freschezza psicofisica alla tecnica del montenegrino, peraltro uscito provatissimo mercoledì scorso dal Sant’Elia), eppure subito contestata n tivù dal professor Bergomi, poi costretto a pubbliche scuse finali: ci sarà del resto un motivo, se uno fa il commentatore a Sky e l’altro siede sulla panchina della Roma… Sta di fatto che il magnifico Inciampicone ha subito dato ragione al tecnico che lo ha voluto a Trigoria, continuando a battersi come un leone al vertice della ciurma costretta ad accantonare presto qualsiasi sogno di bel gioco – e sì che non era cominciata male, ieri, tutt’altro – per aggrapparsi un’ora e un quarto e passa ai suoi muscoli, oltre che alla grinta di , alla geometria di Pizarro, al moto perpetuo di Riise, Taddei e Perrotta, alla concentrazione di una difesa addormentata in avvio, ma poi insuperabile soprattutto in Juan, il più colpevole nell’azione che ha portato all’espulsione di Doni. Certo è stata dura, sotto la costante pressione della formazione di Di Carlo, a tratti impressionante per la qualità del palleggio, in considerazione del tasso medio del gruppo. Anche perché la Roma, chiusa a protezione del vantaggi ma sempre pericolosa nelle ripartenze, ha continuato a fallire occasioni in serie.



Dopo le due mancate da Toni, e una punizione di fuori di centimetri, è stato Taddei a cercare un’improbabile deviazione di sinistro su un nuovo perfetto assist confezionato dal sinistro di Riise. E ancora più dura abbiamo temuto diventasse poco dopo l’inizio della ripresa, quando Gulliver-Toni - ancora lui - si è scrollato di dosso la marcatura dei lillipuziani umiliando Mandelli con un tunnel in dribbling e s’è ritrovato steso in area dalla strattonata dello stesso difensore veneto. L’inguardabile Mazzoleni (Calciopoli o meno, ancora girano troppi incapaci colpevolmente dotati di fischietto) ha concesso l’inevitabile rigore, riuscendo comunque a condizionare la sfida già afflitta dalla sua sciatteria. Mandelli, ammonito al decimo fallo, meritava almeno il secondo sacrosanto
, se non il rosso diretto, che avrebbe legittimamente riportato il confronto in parità numerica. Niente da fare, inutili le com rensibile proteste giallorosse.



Come non bastasse, a gettare alle ortiche la tranquillità del 2-0 è arrivato anche l’errore di Pizarro dal dischetto. Proprio così: preferendo chissà perché la potenza del suo alla precisione, il cileno, perfetto nell’esecuzione a Cagliari, non è riuscito a bruciare i riflessi di Sorrentino, romanista mancato in estate.


Un’altra vendetta tipo quella consumata da Bruto Conti? No. A rovesciare i destini del match non ha contribuito stavolta nemmeno l’uscita di , tornato rabbioso e puntuale quasi come nelle giornate di luna giusta: un pestone al collo del piede
e via, spazio a Brighi dal 19° del secondo tempo in poi. Oddio: pure Cassetti, sotto alla Sud che ha ancora negli occhi la sua prodezza nel derby, si è iscritto di lì a poco all’elenco dei divoratori di gol, accasciandosi su un cross di Taddei che chiedeva solo di essere spinto in rete. Ma ormai era fatta.



Mandata a memoria la lezione di Cagliari (bravo, Ranieri), la Roma non ha più mollato un palmo di erreno, pur lasciando al Chievo la magrissima consolazione del possesso-palla. I due tecnici, non a caso tatticamente tra i più abili della serie A, hanno proseguito fino all’ultimo istante la loro bella partita a scacchi con scelte mirate: se Di Carlo ha addirittura spedito Yepes a fare il centravanti in appoggio al suo attacco orfano di Pellissiér, Ranieri ha escluso lo stremato Toni a favore di un Baptista finalmente capace di mettere in vetrina la sua voglia di rifarsi, con un finale pieno di impegno e di intensità. E così, danzando sotto la pioggia che da giorni gonfia anche i muscoli del Tevere, il popolo romanista ha potuto salutare una vittoria sofferta quanto importante, buona a scavalcare il e a piazzarsi nella scia della , almeno fino alle gare di oggi. Con i due punti lasciati a Cagliari, ci saremmo arrampicati addirittura a quota 35, sopra al Milan, alle spalle dell’Inter. Forse era troppo, proviamo ad accontentarci di quello che abbiamo.